venerdì, marzo 11, 2005

i nostri cari amici

Giuliana VIVA, ferita, accolta dall'abbraccio di tutto il popolo della pace, che ha condiviso con i suoi familiari ed i suoi colleghi del Manifesto un mese di angoscia e inquietudine. Calipari ASSASSINATO e omaggiato con funerali di stato , che non serviranno certo a lenire il dolore di moglie e figli per una vita rubata dal cosiddetto "fuoco amico". È questo il resoconto di una storia che rimarrà uno dei momenti più paradossali, e sicuramente più bui, della storia d'Italia. Non mi faccio illusioni, la verità su questo episodio non la sapremo mai... Si, perchè ci sono di mezzo i "nostri cari amici americani"! Proprio quelli che il nostro governo gli lecca il culo un giorno si e l'altro pure per rimediare qualche litro di petrolio. Quelli che hanno iniziato una guerra infischiandosene del diritto internazionale e continuano a mietere ogni giorno vittime tra la popolazione civile. Bush e company si sono dichiarati dispiaciuti dell'episodio, ma subito dopo hanno fatto capire che la colpa non è degli Usa, i suoi soldati hanno rispettato le normali procedure di ingaggio... come dire: gli incompetenti funzionari italiani hanno sbagliato!!! Invece no! Bush può dire quello che vuole, Berlusconi può anche credere a quello che gli racconta, Fini può pure prendersela con il destino (ma siamo seri!) ma la verità è solo una: gli Stati Uniti d'America sono colpevoli dell'omicidio di Calipari così come sono colpevoli delle centinaia di migliaia di morti avvenute in questi anni di guerra preventiva, che siano state causate dai bombardamenti o dal fuoco amico. Spero sia chiaro a tutti, quello che è successo alla macchina dei nostri connazionali in Iraq è cosa all'ordine del giorno per la popolazione civile. Per i "nostri cari amici", la morte di Calipari è solo un piccolo incidente di percorso come una bomba che cade su un ospedale, giustificato in una maniera o nell'altra, ma giustificato. Dalla classe politica del paese arriva nelle nostre case l'appello a non fomentare l'antiamericanismo; si dovrebbero invece preoccupare, i nostri governanti, di non essere così servili ai "nostri cari amici", che se ne infischiano di tutto e di tutti e proseguono il loro progetto di imperialismo assoluto anche a nostre spese.

venerdì, marzo 04, 2005

LO ZAINO

Umberto e Chiara si sono svegliati presto, sono attesi entrambi da una lunga giornata. Caffè, succo alla mela verde, pane tostato e nutella vengono consumati con calma attorno al tavolo che porta ancora i resti della cena del giorno prima. Una cena turbolenta, in cui si è sfiorato quasi di arrivare alle mani. I toni si sono alzati in pochi istanti. La madre non sopporta più quelli che chiama i "viaggi della speranza". Con quello di oggi sono almeno quindici i provini di Chiara solo negli ultimi tre mesi. Non ce la fa a vedere la figlia che non vede realizzati i propri desideri di attrice, ma come al solito ha sbagliato i modi. Irascibile e orgogliosa, Chiara non le ha mandate a dire. A Umberto ora, non resta che sorvolare sull'argomento per non rischiare di riaprire la discussione con la sorella. E poi, lui, ha altro a cui pensare, si vede lontano un miglio che è concentrato su tutt'altro. Il tragitto verso la stazione è breve e i due sono taciturni. Il treno per Roma è alle otto e dieci, ma sulla linea più obsoleta del centro Italia c'è poco da stare tranquilli. Infatti. La voce della signorina di turno al megafono della stazione suona beffarda per tutti i pendolari in attesa sulla banchina. Il primo treno non passerà prima di quattro ore. Tutto il nervosismo di Chiara, accumulato per il provino e per la discussione della sera prima, trova sfogo su Umberto, come se fosse lui il colpevole. Sorvola anche su questo, c'è da pensare a come arrivare a Roma al più presto, altrimenti addio appuntamento. Non resta altra scelta che prendere l'auto appena parcheggiata vicino al piazzale degli autobus, sempre che la vecchia pegout 205 ce la faccia a sopportare lo sforzo. Il viaggio dura poco più di un'ora, ma i due rimangono in silenzio anche questa volta. Umberto voleva evitare a tutti i costi di viaggiare in auto, troppo pericoloso per lui, non è affatto tranquillo. Al casello una lunga fila di auto, Chiara bestemmia perché è sicura che farà tardi, Umberto immagina che siano tutti i pendolari rimasti appiedati dal treno e gli viene quasi da ridere. All'uscita di cinecitta un'altra coda, questa volta sono le aspiranti per un posto da maresciallo al posto della Marcuzzi, Chiara bestemmia perché secondo lei sono tutte troie, Umberto, stavolta, bestemmia anche lui, non manca che un'ora all'appuntamento. Fa altri duecento metri in un quarto d'ora, decide di far scendere Chiara alla fermata del tram e in bocca al lupo. Lui invece imbocca la Casilina, si ferma al primo semaforo, pensa che li becca sempre rossi, si sforza di non bestemmiare. D'improvviso una lunga frenata, neanche il tempo di guardare dallo specchietto che la botta lo fa sobbalzare sul sedile. È un secondo, guarda dal finestrino, lo stronzo riparte lasciando sull'asfalto tre quarti delle sue gomme e si infila in una stradina. Lui riesce a prendere la targa e si promette che gliela farà pagare cara, molto cara. In qualsiasi altra situazione Umberto avrebbe seguito quell'auto anche a piedi, ma ora non c'è tempo. Trenta minuti o addio affare. La vecchia pegout ha retto bene, manca un faro, ma non ha importanza. Umberto pensa allo zaino e diventa color cera in un nanosecondo. Decide di controllare con il cuore che gli va a duemila. Sembra ok. Può ripartire. Arriva con tre minuti di anticipo. Nicola lo aspetta fuori dal portone della sua palazzina di piazza Malatesta, gli prende quasi un colpo a vederlo arrivare in macchina e lo maledice per il rischio che ha corso. Se sapesse del tamponamento potrebbe anche svenire. Umberto sorride malizioso, gli dice di non preoccuparsi, che è tutto a posto, che ce l'ha fatta anche questa volta e che dell'Umbi ci si deve fidare, sempre. Apre il cofano, prende lo zaino e insieme salgono al terzo piano della palazzina. È fatta anche questa volta.