mercoledì, ottobre 14, 2009

Trentamila

Io non avevo fatto niente di male, lo giuro. Ero lì, un po’ ansioso sì, ma in fondo mi stavo solo preoccupando di trovare una nuova macchina per il caffè, di quelle che ne esce fuori solo una tazzina. Poi sono arrivati loro. E sì che forse c’ho messo un po’ a decidermi, ma non mi sarei mai aspettato di ricevere un trattamento così meschino, doloroso terrificante. Erano in quattro, sono arrivati fuori casa e hanno parcheggiato la loro Ford Falcon, di quelle in dotazione all’esercito, con calma, senza preoccuparsi né dei passanti che li avrebbero potuti riconoscere, né dei miei genitori che stavano appena uscendo di casa. Alla porta non hanno bussato nemmeno, io ho sentito solo lo scricchiolare debole delle assi che si rompevano. Poi, dal momento in cui gli ho confermato il mio nome, ricordo solo il cappuccio in testa e quel colpo secco dietro alla nuca, forse col calcio della pistola, forse con il retro del manganello. Di certo c’è solo che da quel momento è cominciato l’inferno…
Potrebbe essere questo l’inizio di un racconto comune a uno qualunque dei trentamila desaparecidos argentini, uomini e donne vittime del sistema di repressione attuato dalla dittatura dal 1976 al 1983. Un sistema brutale, indegno e terrificante pronto a reprimere nel terrore qualsiasi segno di appartenenza a gruppi o movimenti contrari al colpo si stato dei generali. Di più, un sistema studiato a tavolino per eliminare le tracce e le prove degli ostaggi sia sulle carte della polizia legale sia materialmente, arrivando a far scomparire i corpi attraverso i tristemente noti “voli della morte”, con cui i militari si sbarazzavano delle prove buttando i corpi dei sopravvissuti alle vessazioni e alle torture direttamente nell’oceano.
Per arrivare alla verità sulla tragedia dei desaparecidos molto è stato fatto da parte delle associazioni che riunivano i figli, le madri e le nonne degli “N.N.”, come venivano classificati una volta uccisi, ma le varie amnistie concesse dai governi “democratici” arrivati dopo la dittatura hanno contribuito a rendere impunibili diversi personaggi colpevoli della strage mentre ancora oggi, i figli, le madri e le nonne di Plaza de Mayo continuano imperterriti la loro battaglia per rintracciare corpi e storie di persone scomparse nel nulla.
A far rivivere le storie e le vite dei desaparecidos contribuisce in qualche modo anche una vasta produzione artistica sull’argomento. Io mi ci sono imbattuto quasi per caso e, vuoi per le coincidenze di trovare, nello stesso periodo, libri usati a ottimo prezzo, fumetti appena usciti per la tua casa editrice, vuoi per una connessione a internet che ti consente di scaricare quel film che volevi vedere da un po’ o per un altro film che avevo visto tempo fa, le ultime settimane me le sono passate in una completa immersione nell’Argentina di quegli anni.
Grazie a due film del regista Marco Bechis innanzitutto: Hijos (2001) e Garage Olimpo (1999), in cui il regista italo-cileno, che ha vissuto sulla propria pelle la ritorsione della dittatura con l’espulsione dall’Argentina nel 1977, racconta il dramma da due diverse ottiche; in Hijos è quella di una ragazza che arriva in Italia da Buenos Aires per ricongiungersi al fratello sottratto alla famiglia in uno dei campi di concentramento del regime e venduto a una coppia “per bene” e in Garage Olimpo, per certi versi più drammatico e sconvolgente, quella dell’interno di una delle basi dell’esercito, il garage Olimpo per l’appunto, in cui i desaparecidos venivano portati per essere torturati in maniera atroce prima di essere “trasferiti” sugli aerei della morte. Storie che grazie al video rendono bene l’idea dell’angoscia e della disperazione di quegli anni; un’angoscia e una disperazione che Massimo Carlotto invece, è stato in grado di trasmettere anche sulle pagine stampate del suo libro Le irregolari. Buenos Aires Horror Tour, edito dalla E/o. Un viaggio tra i racconti delle vite e dei sequestri di decine di desaparecidos elencate all’autore dall’autista di un bus che lo accompagna di notte tra le strade e i luoghi di una Buenos Aires “infinita”. Carlotto ascolta, sente sulla propria pelle il dolore delle vittime e lo racconta in maniera esemplare, rimanendo poi così coinvolto da impegnarsi al fianco delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, le nonne battagliere decise a far conoscere la verità sugli scomparsi guidate da un’altra Carlotto; quella Estella che da anni gira il mondo incontrando le personalità e i capi di governo più rappresentativi al fine di raggiungere equi processi in tutti i Paesi, che siano stati essi vittime o complici del sistema argentino. Ultima arte ad avvicinarsi al tema in questo periodo il fumetto, con L’eredità del colonnello di Carlos Trillo e Lucas Varela, appena tradotto e uscito in Italia per Coniglio Editore. Storia per forza di cose scura anche questa, con personaggi “sporchi” e figure tetre che si rincorrono nei ricordi del figlio di un colonnello torturatore del regime scritta da uno dei personaggi che hanno fatto la storia del fumetto sudamericano. Suoni e visioni da un mondo orribile che nelle pagine disegnate trovano una strada nuova per raccontare l’orrore.

Tanta carne sul fuoco dunque, da studiare e da approfondire, ma che forse non sarai mai abbastanza per una pagina così scura del ventesimo secolo, una pagina che a inventarla per un film, un libro o un fumetto avrebbero probabilmente fatto meno fatica…

In ascolto: Desaparecidos - Manu Chao

sabato, ottobre 10, 2009

Ego

Sono padre, figlio e fratello.
Sono spiedino di carne, polpetta di pane e pesca al mattino.
Sono pedone di una partita a scacchi persa in partenza e regina madre nel nido di vespe.
Sono punta di diamante e riserva in panchina, giudice e reo confesso.
Sono fegato e alcol da ingurgitare.
Sono patria e onore, sangue e disperazione.
Sono il Re del Porno e l’ultimo degli arrivati.
Sono il vento che sbatte in faccia e la catena che si inceppa.
Sono Rivoluzione e Restaurazione.
Mi trasformo, piano, pretendendo solo il pane quotidiano che mi spetta.
E divento aria, impura, dei condizionatori rotti alla sera.


In ascolto: Oceano - Diaframma

martedì, settembre 08, 2009

Meditaciones de la tarde

Quando arriva la fine di agosto la gente che lavora rientra dalle vacanze.
Invece, chi un lavoro non ce l’ha oppure lo ha perso da poco può andare in vacanza quando gli pare.
Questo me lo ha detto mio zio quando è partito per Barcellona dopo agosto.
Barcellona è una città che sta in Spagna, una nazione straniera che fa parte dell’Europa.
Secondo mio zio Barcellona sta messa meglio di Roma e anche la Spagna sta messa meglio dell’Italia che quasi quasi ti fa venire la voglia di andarci a vivere a chi la vede.
Io non lo so perché mio zio ce l’ha tanto con l’Italia in questo periodo perché io non lo capisco quando mi parla di escort, di libertà di informazione o di lavori precari o di lavori in nero e tutte queste cose da grandi che io sono un bambino e c’ho voglia solo di giocare, ma siccome è mio zio io un po’ gli credo che l’Italia sta messa male.
Ad esempio m’ha detto che mentre a Roma la gente fa a botte da dentro alle macchine ai semafori, a Barcellona a ogni angolo e a ogni piazza ci stanno le biciclette che le paga il comune e tu devi solo pedalare per andare in giro.
Oppure per un altro esempio m’ha detto che mentre in Italia il presidente fa come gli pare e poi se la prende coi giornali e nessuno dice niente in Spagna sui giornali loro scrivono le cose che succedono in Italia e per questo ci prendono pure in giro.
Oppure, e poi basta co gli esempi, mi ha detto pure che mentre a Roma usano i coltelli e gettano le bombe dove è che stanno i omosessuali a Barcellona questi non devono avere paura e possono pure volersi bene come tutti.
Comunque a parte tutto Barcellona mi sa proprio che è una grande bella città dove ci sta il mare, i monumenti, le chiese gotiche, e un porto nuovo nuovo e dove ci stanno pure le case che faceva un architetto che sono tutte storte e alcune colorate che sembrano quasi dei puzzle come quelli che faccio io.
Poi e questo a zio gli è piaciuto proprio tanto, ci sta pure sempre la musica a ogni angolo e la gente si diverte sempre e cammina avanti e indietro a tutte le ore del giorno e della notte che sembra sempre piena.
Questa volta poi, che lui già c’era stato un’altra volta, si è visto pure le cose nuove che prima non aveva visto e allora mi ha parlato di un quartiere dove stavano tutte bandiere della catalugna, che sembra che qualcuno non è contento di vivere in spagna e allora vogliono fare un altra nazione, che infatti quelli che vivono a Barcellona parlano pure due lingue invece di una e alla scuola si parla quella di quelli che vogliono fare un'altra nazione.
E a un altro quartiere ancora invece ci ha visto un po’ di delinquenza, ma era un quartiere dove prima non ci si poteva entrare e dove ora invece ci stanno a fare tante belle cose che la gente comincia a stare più tranquilla.
Poi mio zio, che lo sapete ormai che gli piace la birra, si è fatto pure i giri per i locali con gli amici suoi e sembra che là di locali ce ne stanno un infinito e si è bevute tante birre che non mi ricordo come le chiamava lui in spagnolo ma in italiano si chiamano stella! E insieme a lui le birre se le bevevano proprio tutti e ci stavano pure quelli che passavano a venderle in giro. Un po’ come fanno a roma con le rose e i pupazzetti insomma, solo che lì lo fanno con le birre e non si stufano mai.
Ma poi io una cosa non capisco: perché mio zio va sempre nei posti dove si beve tanta birra? Boh, però quando so grande che posso capire la cosa delle escort mi sa che mi deve spiegare pure questa a me!

In ascolto: Rumba de Barcelona - Manu Chao

venerdì, agosto 07, 2009

Fresh Flesh

Da queste parti c’è carne fresca che abbrustolisce al sole d’agosto mentre alcuni bagliori di luce provano ostinatamente a entrare dalle serrande aperte su un futuro ignoto. Ci si sorregge dolcemente su stampelle fatte di calda passione mentre tutto intorno, nell’aria, si respira aria di smobilitazione. Camion pieni di ricordi stanno percorrendo strade sabbiose per portare lontano da qui esperienze e lavori che sono già diventati un qualcosa da riporre nel dimenticatoio. Le facce tese e agonizzanti rinchiuse negli uffici malsani stanno invece per essere sostituite con quadri d’autore al naturale e il tempo, questo sconosciuto, sta per diventare nuovamente il protagonista di una storia ancora tutta da scrivere. È vero: forse non c’è modo di guardare avanti con assoluta sicurezza quando la morsa del precariato stringe alle caviglie ma oggi qui non c’è né tempo né voglia di guardare giù; oggi da queste parti si brinda comunque a un nuovo corso. E che la dea fortuna di Ignatius sia con me! Salute.


In ascolto: Carne fresca - Afterhours

mercoledì, luglio 29, 2009

ArziPensierini della sera

A fine luglio al mio paese c’è una festa.
Questa festa non è come le altre feste che ci stanno le illuminazioni, i spari e le giostre però è sempre una bella festa dove la gente ride e si diverte.
Mio zio, che fa questa festa assieme agli amici suoi, mi parla sempre della festa che secondo me ce l’hanno proprio ficcata in testa e non se la scordano mai.
Questa festa c’ha un nome strano che in italiano mi sa che non esiste.
Questo nome si chiama arzibanda e mio zio mi ha detto che è una parola che usavano i antichi per dire quando si faceva casino che era n’arzibanda.
Io quest’anno all’arzibanda ci sono stato tutte le sere non come l’anno scorso che ero troppo piccolo e non ci potevo andare. Allora quest’anno, che sono di un anno più grande, mamma e papà mi ci hanno portato sempre e io sono stato all’arzibanda.
Quando sono stato all’arzibanda ho visto un sacco di cose ma proprio tante che io non le avevo mai viste così tante.
Ho visto uno che c’ha il nome più strano di tutti e che suona i dischi che diceva ai carabinieri se lo facevano suonare un altro po’.
Ho visto mio zio e tutti i suoi amici che si chiamavano Papà e Parè che io tutti quei parenti secondo me io non ce li ho come mio zio.
Ho visto le bancarelle e una mostra di disegni tutti belli colorati che ci stava pure un presepe. Ho visto tanto sole che faceva un caldo caldissimo e la gente si beveva la birra tutto il giorno fino alle sei del mattino.
Ho visto tanti strumenti musicali che la gente li suonava fino alle sei del mattino pure loro e le signore si affacciavano alle finestre e un po’ mi sa che non riuscivano a dormire però secondo me un po’ gli piaceva.
Ho visto i pagliacci che ci stavano tanti bambini che poi ci hanno regalato i nasi rossi.
Ho visto quelli che facevano il teatro incazzati perché non gli si apriva il cofano però poi la sera hanno fatto proprio un bello spettacolo e hanno detto alla gente del paese mio che dovevano aiutare di più l’arzibanda.
Ho visto una cantante americana che dopo che aveva suonato si è bevuta tanto ma proprio tanto vino e per fortuna che se lo è bevuto dopo il concerto e non prima se no come faceva a cantare.
Ho visto una banda che secondo me adesso sta ancora suonando perché a quelli il fiato non gli mancava mai più.
Ho visto tanti concerti, che poi il pomeriggio suonavano i giovani e la sera suonavano quelli più vecchi, e uno di quelli più giovani mi sa che ha vinto qualche cosa perché una sera ha suonato pure con quelli più grandi.
Ho visto tanta gente che parlava un sacco di lingue diverse come il pugliese, il toscano, il calabrese, il romagnolo però a me mi pare che si capivano tutti benissimo.
Ho visto 50 persone che lavoravano tutti i giorni per preparare bene quando arrivava la gente e però erano tutti contenti pure se dovevano lavorare.
Ho visto che tutti, ma proprio tutti, ridevano, si abbracciavano, si baciavano e ballavano e allora io mi sa che ho capito tutto pure se sono piccolo e pure se mi sono dimenticato qualcosa ora posso scrivere la conclusione: secondo me le feste devono essere tutte come l’arzibanda perché così la gente è più contenta.
Mae’, ma dopo che mi hai corretto i pensierini della sera li posso fare leggere pure a mio zio che quello se li legge è contento come un Paré?



In ascolto: Malgré tout... je chante - Martinicca Boison

lunedì, luglio 06, 2009

Pecora Nera

Come straniero in terra straniera, mi aggiro da solo nella notte nascosto da una maschera che spruzza odori inesistenti e fumi troppo poco inebrianti. Dalla mia postazione privilegiata osservo corpi muoversi, menti più o meno attive, teste piene di pensieri e relazioni che si intrecciano in un vortice di sottomissione al dio danaro. Gioie inespresse, lenti rinvii, sorrisi di circostanza e occhi che guardano dall’altra parte sono ormai all’ordine del giorno, mentre folletti furbi che sanno come mostrare le proprie, finte, deficienze girano indisturbati negli androni del gran palazzo fatiscente. Dalla poltrona in bilico sul burrone, intanto, il grande burattinaio tesse i fili di una matassa fin troppo complicata per essere sbrogliata attraverso le comuni strategie di guerra e i suoi sudditi rimangono silenziosi ad aspettare che tutto imploda in maniera naturale, senza aver la forza di cambiare la sceneggiatura. Così, mentre anche i personaggi non protagonisti della vicenda tessono le loro trame per cercare di raggiungere in breve tempo le più alte posizioni nella scala gerarchica del sapere, io trovo solo il tempo per interrogarmi su quesiti di alta filosofia spiccia quali “ma il sole riuscirà ancora a scaldarci?”, “la ruota della fortuna gira sempre al contrario o i cerchi interni dell’universo riusciranno a cambiare il corso degli eventi?”, “quanti carabinieri ci vogliono per svitare una lampadina e quanti per proteggere gli 8 grandi coglioni?”, “meglio un antibiotico oggi o una birra domani?”, “riusciranno i nostri eroi a saltare sul carro dei vincitori?”… Scusate, è inutile. Non ce la posso fare proprio ad essere come voi.

In ascolto: Canzone di notte N. 2 - Francesco Guccini

venerdì, giugno 12, 2009

Consigli per gli acquisti...

Camere di ospedali, letti lerci, tuniche gialle e gocce che sembrano morfina. A far da colonna sonora a questo brutto film muto un guercio russante e ormai senza più speranze. Da lontano arrivano comunque echi di leggerezza; con l’Arzibanda che è quasi alle porte e che allora tutti staremo più bene e con risate genuine che alleggeriscono le pressioni, e fanculo se la mia, di pressione, al mattino fa 85 di massima. La diagnosi aveva parlato chiaro qualche giorno fa: ascesso perianale (me l’aveva detto Stefano che dovevo smetterla coi negroni!) da estirpare con interventino chirurgico a gambe all’aria. Una cosa da poco suggerivano gli amici che ci erano passati, ma mica mi avevano avvertito del dopo cazzo! Un buco nero è sempre un buco nero, che se poi te lo aprono vicino a un altro ben più caro allora sì che la situazione si fa antipaticamente interessante. Insomma, come si dice, da queste parti in questi giorni c’è da stringere un po’ le chiappe cercando di superare anche le mancanze e le assenze. Io, visto che il tempo proprio non mi è mancato, ci ho provato con un paio di cosette interessanti che mi concedo di suggerirvi anche nella mia personalissima e modestissima bacheca dei “consigli per gli acquisti”.
Per la sezione libri torno a “pubblicizzare” di nuovo un titolo della E/O, che ormai mi ha convinto ed è diventata la mia casa editrice preferita. Il libro (della collana “assolo”, la stessa di Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio) è Centro permanenza temporanea vista stadio di Daniele Scaglione, ex presidente di Amnesty International Italia e attualmente direttore della comunicazione di Action Aid. Una storia narrata semplicemente, senza troppi fronzoli, che racconta da vicino la storia di una madre e di una figlia rinchiuse in un cpt di Torino, una delle tante strutture lager volute dai nostri governanti per combattere l’arrivo degli immigrati nel nostro paese. Una struttura lager che non impedirà comunque alla giovane Sharmin di appassionarsi alla nostra cultura calcistica da vicino, in una lotta per la libertà che passa anche attraverso una fuga per andare a vedere allo stadio il proprio idolo Francesco Totti. Toccando un tema estremamente attuale in questi giorni di ulteriori restrizioni verso gli immigrati, Centro permanenza temporanea vista stadio è una storia di donne e di amori: per il calcio, per i desideri irrealizzabili, per la famiglia e per la dignità.

Rimanendo più o meno vicini all’ambito calcistico la seconda segnalazione riguarda il docu-film-intervista su Maradona realizzato da quel geniaccio di Emir Kusturica; un film che non celebra, come sarebbe stato troppo facile, quello che è stato il calciatore più forte del mondo, ma che cerca di scavare e di analizzare una personalità e un personaggio che nasconde dentro tanti quesiti quanti sono i gol che ha segnato nella sua carriera. Maradona non è stato infatti solo un calciatore ma un vero e proprio idolo acclamato ancora oggi dal popolo napoletano come da quello argentino. Un uomo che ha fatto impazzire i difensori di mezzo mondo ma che si è ritrovato anche a dover combattere una sfida ben più difficile con la dipendenza dalla cocaina; un abilissimo affabulatore del pallone di cuoio ma anche uno che non le ha mai mandate a dire, contro i poteri forti del sistema calcio prima e contro l’imperialismo di Bush poi. Kusturica, dall’altro lato della camera, ma spesso coprotagonista lui stesso nel film, è riuscito a scendere a compromessi e ad addomesticare il Maradona uomo, portandolo e facendosi portare all’interno di un viaggio affascinante, veritiero e pieno di sorprese. Un viaggio al quale manca ancora la parola fine, perché in fondo cosa e chi è oggi Maradona, per sua stessa ammissione, non è del tutto ancora chiaro… Andate, leggetene e guardatene tutti allora. Io nel frattempo vado a fare esercizi di respirazione per allentare le tensioni al bacino!



In ascolto: La vida es una tombola – Manu Chao

lunedì, giugno 01, 2009

Rocker vs Cocker

Che a passare da rocker a cocker ci vuole poco, proprio tanto così. Una lettera, un istante, e l’animale da palcoscenico si ritrova a far pipì dietro un palco addobbato a festa dove la band continua imperterrita a eseguire pezzi ormai scontati e senza più appeal. Metà del pubblico fischia, l’altra metà rimane scettica ma in fondo approva. L'organizzatore, anche questa volta, non pagherà. Non c’è via di mezzo, la rete è intricata e le correnti spingono più in là, dove neanche i massimi sistemi servono a spiegare, comunicare, interagire con i fan. Sogni e ambizioni spariscono, travolti da “un insolito destino” e logorati dai tempi troppo lenti di un pezzo senza finale. Il rocker è solo e stanco, ha gli occhi bassi e le vene gonfie, il cocker che è in lui è scaltro e si tiene ai margini pronto a coglierne ogni attimo di debolezza. Fermo immagine. Sfida che logora. Le mani non sanno più quando applaudire.

venerdì, maggio 22, 2009

Uomini e cani

Per la serie ho visto cose che voi umani eccetera eccetera, qualche giorno fa ho preso la mia navicella spaziale lanciata come al solito verso una destinazione sconosciuta e sono andato a farmi un giro tra i satelliti che imperterriti abbattevano le stelle. È da lì che comodamente seduto ho potuto osservare i prati in cui gli agnelli correvano inseguiti da doppiette di cacciatori dal sangue blu e i lumi al miele accesi nelle stanze dei padroni. C’erano anche gli architetti del tempo da quelle parti, giocavano con le lancette e disegnavano spirali di foto in bianco in nero scattate in momenti sconosciuti. Le immagini, irregolari, si sovrapponevano sprigionando energie da trasmettere solamente attraverso i corpi consumati e logorati dal sole e i dolori intercostali stringevano il petto, le mani sudavano e le vene si gonfiavano fino a uscir fuori, pulsanti, dalla pelle sottile. Proprio lì, tra voragini che si aprivano sotto i piedi e marimba phase da attraversare, ho trovato il contesto ottimale per dedicarmi alla lettura di un libro che una mano sapiente ha poggiato vicino al tavolo dei comandi… Si tratta di Uomini e cani, ottima opera prima di Omar Di Monopoli, scrittore e sceneggiatore pugliese proveniente da Manduria, terra di quel gioiellino di vino che corrisponde al nome di “primitivo”. Un romanzo cruento e dal forte impatto sui cuori sensibili ambientato proprio in Puglia, a Languore, un paese immaginario dove a farla da padrone è ancora la legge del più forte e che rispecchia in pieno la voglia dell’autore di esasperare i toni di una vicenda che sembra svolgersi ad anni luce da quella Puglia da cartolina a cui siamo abituati, quella “del sole, del mare e del vento” che ogni estate è pronta ad accogliere orde di turisti sulle proprie coste. Un western salentino, come recita il frontespizio, che intreccia le storie e le vite di personaggi ben oltre il limite della legalità tra omicidi, lotte clandestine tra cani e violenze esasperate e in cui non sembra esserci spazio per eroi positivi. Una storia scritta da un ottimo autore, che conosce bene i trucchi del mestiere e che sa come far appassionare il lettore, spaziando da una scrittura quasi barocca alle incursioni di un dialetto mai invasivo e inventato mescolando brindisino, tarantino e gallipolino. Un libro caldo come il sole che brucia da quelle parti e rosso come la terra e il sangue che la bagna man mano che le pagine vanno avanti. Da leggere, d’un fiato, anche per chi non ha tanto sangue pulp nelle vene. Alla prossima gente, torno alla mia navicella parcheggiata in doppia fila.

Uomini e cani, Omar Di Monopoli – ISBN Edizioni – € 13,00

mercoledì, maggio 06, 2009

Pensierini della sera

Il primo maggio è la festa del lavoro.
Quando arriva il primo maggio a Roma si fa il concerto del primo maggio.
Al concerto del primo maggio quest’anno ci ha cantato pure Vasco Rossi e pure la banda di un paese vicino all’Aquila che però non me lo ricordo come si chiama perché era difficile.
Però mio zio a me mi ha detto che quando al primo maggio stavano a suona i pieffemme la gente che era lì per cantare Vasco Rossi si so lamentati tanto.
Mio zio mi ha detto pure che quando stavano a canta i after come si dice quella parola li si so lamentati tanto e che per lui così non si fa.
A me misa che la gente si lamenta sempre tanto.
E misa pure che mio zio si sente tutta musica strana.
Però quando arriva il primo maggio chi lavora per tutto l’anno festeggia.
Mio zio mi ha detto che il primo maggio invece di andare al concerto del primo maggio se ne andava a bologna perché mi ha detto che lui è un lavoratore e che pure se non lo pagavano e non gli davano l’aumento lui voleva festeggiare lo stesso ma non poteva andare al concerto del primo maggio perché la ci stava tutta quella gente che si lamentava che a lui non piaceva.
A mio zio quando lo hanno preso a lavorare gli hanno detto che doveva andare all’ufficio tutta la settimana e che gli davano i soldi. Però ogni tanto misa che si scordano che gli devono dare i soldi perché a bologna mi ha detto che c’è andato senza soldi e che la benzina la ha messa co i pezzi di carta che gli ha dato un’altro mio zio.
Io secondo me non va bene che uno lavora tutta la settimana in ufficio e poi alla fine del mese prende lo stipendio una volta sì e una volta no e la benzina la deve mettere co i pezzi di carta.
Però mio zio mi ha detto che è un lavoratore atipico che io non lo so che significa atipico e non sapevo manco come si scriveva e poi me lo ha imparato lui. E mi ha detto che quando uno è lavoratore atipico gli girano pure le palle (si può dire questo mae’?) quando ci è la festa del primo maggio.
Allora secondo me però qualcuno un giorno deve fare pure la festa del lavoratore atipico così fanno un’altro concerto del primo maggio che però non è il primo maggio e chiamano a cantare Vasco Rossi e la gente che si lamenta sempre allora è più contenta.
Però io non era di questo che volevo parlare. Perché mio zio ieri mi ha raccontato della sua gita a Bologna e io era di questo che volevo parlare per i pensierini della sera.
Mio zio mi ha detto che ha visto tante cose belle a Bologna e che a Bologna un’altro cantante di quelli che si sente lui ci ha scritto pure una canzone che parla di Bologna!
Mio zio a Bologna ha visto:
Le torri degli asinelli che sono una più piccola e una più grande e che quella più piccola è come quella di Pisa che pende ma non cade mai più.
Tanti negozi di parrucchiere e di quelli che ti fanno abbronzare perché secondo lui la gente a bologna si vuole fare tanto bella.
Un parco con una fontana che poi la ha rivista mentre la disegnavano e gli è piaciuto tanto.
Una mostra bella di uno che fa i fumetti come quelli di topolino che mi leggo io e i disegni sui muri di uno morto tanto tempo fa però famoso che però quelli li ha visti a arezzo quando stava a torna.
Un ufo che passava sotto un elicottero della polizia.
Due amici suoi che gli hanno fatto da mangiare e che è stato contento di abbracciare perché sono amici amici ma proprio amici quasi fratelli.
Tanti posti dove si beve la birra che a lui quella buona che ci hanno a bologna ha detto che gli piace tanto.
Una strada che conosceva bene che mo ci hanno costruito pure un bagno per la gente.
Mio zio mi ha detto pure che ha fatto tanti chilometri con la macchina e che si è divertito tanto perché a questa gita che ha fatto ci aveva una bella compagnia.
Io a Bologna non ci sono mai stato però secondo me è proprio una bella città e quando sono grande ci voglio andare pure io così vedo tante belle cose.


In ascolto: ovviamente, Bologna - Francesco Guccini

domenica, aprile 26, 2009

e non sentirli...

Giorni importanti da queste parti, con ricorrenze che segnano il tempo e regalano ricordi, emozioni quotidiane e cose da contare per vedere se fa veramente trenta. Che le cifre tonde sembrano fatte apposta per spaventare e chissà poi perché. E invece qua ci scappa proprio un bel sorriso, mentre con le bottiglie fide compagne si balla e si canta alla corte del “Re del Regno vicino”, mentre si percorrono con infinita curiosità nuove strade e mentre si cerca di raggiungere ancora nuovi orizzonti per continuare a dire “ma che bello che è”. Si canta e si balla ancora, per giorni, e gli sbalzi d’umore diventano innocenti saltelli sui tappetini elastici, le dicotomie dei personaggi scompaiono per riapparire solo alla fine della storia, i lavori più o meno usuranti che sanno bene come logorare le schiene passano in secondo piano e gli amori che vanno e poi ritornano come cantava quello lì sono solo un puntino piccolo così. Si balla e si canta, con il sorriso sulle labbra e una stella sulla guancia, e in fondo ora chissenefrega se i giochi da bambino oggi non ci sono più; io oggi ho tra le mani c’ho una bella, calda e morbida sfera da accarezzare…

In ascolto: Vesto sempre uguale - 24 Grana

lunedì, aprile 20, 2009

bellezze

Raccolgo margherite ai bordi di strade abbandonate e sotto palazzi fatiscenti mentre da queste parti si susseguono scissioni di atomi che “manco” una centrale nucleare. E allora che passino pure le macchine strombazzanti sui semafori della Prenestina, le sveglie mattutine che non erano mai state così pesanti, i tram pieni di emozioni soffocate e le bocche più o meno conosciute che emettono suoni confusi. E passino anche le passeggiate dentro le tombe dei papi, l’oro dei loro anelli e i rum da otto euro. Perché qui, ormai, i cicli si chiudono a una velocità inconsueta e impercettibili scontri di nuclei energetici provocano spostamenti delle soglie, accendono lampadine di curiosità e stimolano gli organi sensitivi. E sarà pur vero che stiamo combattendo un po’ tutti guerre già perse in partenza su campi di battaglia ostili e fangosi, ma c’è comunque da rallegrarsi nel riuscire a elogiare ancora la bellezza; quella portata a spalla dalla primavera, dalla tomba quasi nascosta di Trilussa dentro il cimitero monumentale del Verano, dalle bottiglie di limoncello bevute alle due di notte cantando a squarciagola sotto le finestre, da una piccola creatura animata che rallegra e da una piccola donna che cresce. La bellezza delle sensazioni che tornano a presentarsi forti, terribilmente forti. E che prendono sulla pelle riscaldata, e scavano, e si insinuano fino alle ossa e dentro allo stomaco. Quelle che non ti resta che assorbirle, facendole tue e rigettandole di nuovo all’interno di questo pazzo pazzo mondo… facile no?

In ascolto: Beato me - Dente

giovedì, aprile 09, 2009

L'Aquila

Pensi di essere armonicamente sintonizzato con la primavera. Seduto fuori da un bar ti appunti di piccole grandi cose che ti fanno vedere il mondo migliore di quello che è e poi, all’improvviso, ti ritrovi oscurato da un cazzo di evento che non stava scritto su nessuna pagina inchiostrata. La natura si mostra infame come non mai e si ribella portandosi dietro morte e disperazione. Da un momento all’altro le immagini di distruzione si sovrappongono a quelle dei giorni spensierati e ora, appena un attimo prima del rimboccarsi le maniche come solo la gente d'Abruzzo sa fare, non rimangono che i ricordi… quelli di una città che non c’è più, di una città da cui noi siamo dovuti scappare per quanto ci andava stretta, di una città da cui mai come ora ci sembra di essere distanti anni luce… tornerà a vivere L’Aquila, cazzo se tornerà a vivere!

“Vorrei essere dentro al Boss e bere un bicchiere di vino, vorrei cantare con l'Aquila e sorridere con la serata. Vorrei camminare per il corso e accarezzare tutti quei muri che spesso hanno accarezzato la mia testa, vorrei essere all'ultimo piano della casa dello studente e buttare le coperte di Emanuele giù, su via XX Settembre, e vorrei nascondermi dentro all'armadio, vorrei essere alla fontana delle 99 cannelle e provare a ricontarle perché non ne ho mai contate 99, vorrei rivisitare tutte le 99 chiese, le 99 piazze, le 99 fontane e poi andare a mangiare della pizza nel primo forno notturno, vorrei gettarmi dentro la fontana di piazza Duomo vestito con una ruota della macchina, vorrei ricamminare sopra i tetti di via Sallustio e rivedere il sorriso della luna, vorrei essere in facoltà e dormire durante la lezione di geometria, vorrei incontrare per caso Gianluca di fronte al Farfarello, vorrei essere all’ospedale San Salvatore e fumare una sigaretta con la prima infermiera di turno, vorrei essere a piazza Palazzo e litigare con Francesca e poi sedermi sotto la sua finestra ad aspettare che venga giorno, vorrei fare l'amore a piazza d'armi… vorrei continuare a sognare!!!”
- Marco -

In Ascolto: Cry Baby - Janis Joplin

venerdì, marzo 27, 2009

ventisette

Che oggi, in un paese normale, sarebbe dovuto essere giorno di paga... e che invece era proprio meglio quando bastavano i goal di Schillaci a Italia '90 per farti credere al tuo paese come il migliore al mondo.

In ascolto: La storia - Africa Unite

mercoledì, marzo 25, 2009

Isola

Ieri mi hanno regalato un’isola, mi hanno detto che è tutta per me e che ci posso portare chi voglio e anche tutte le cose che mi fanno stare bene. Io su un’isola fino ad oggi non c’ho mai vissuto e non lo so mica come ci si sta in realtà, con le spiagge bianche, le palme e tutto quel mare attorno che non finisce mai, però se ci penso io dico che un’isola è proprio un bel regalo e che non potevano sceglierne uno migliore per me. E penso anche che tutti, ma proprio tutti, dovrebbero averne una… bah, secondo me questo mondo è proprio ingiusto. Intanto mi tocca di preparare le valigie: dovrò pur portarmi qualcosa per ingannare il tempo mentre starò ad aspettare impazientemente chi dovrà raggiungermi lì. E allora ho pensato che un barista dall’altro lato del bancone (sì, perché un bancone ci vuole) non può proprio mancare; sull’isola dovrebbe far caldo quindi basta giusto qualche bella Peroni ghiacciata, senza bisogno di amari o liquori di altra sorta; per i libri penso a Fante e Tondelli, sì sì, loro dovrebbero bastare per un po’ e poi magari mi porto anche qualche bella rivista tra le tante che ho archiviato e sto a posto così. Sulla musica c’ho qualche dubbio in più lo ammetto, ma tanto ormai occupa così poco spazio che di discografie ne posso portare quante ne voglio, devo solo ricordarmi di chiedere a Nello di procurarmi qualcosa di nuovo, lui saprà certamente come aiutarmi. Poi mi porto le foto di Michael, perché ogni tanto voglio ridere così, in maniera innaturale come un bambino, e anche i video delle mie feste, perché così posso vedere tutte le volte che voglio la gente che abbiamo fatto sorridere noi. I sogni invece mi sa che per questa volta li lascio nei cassetti di casa, che ora non c’ho né voglia e né tempo di inseguirli e al posto loro mi porto la pallina magica, che voglio proprio vedere se rimbalza anche sulla sabbia. Ci vediamo presto, e se volete venirmi a trovare la strada è facile, basta solo nuotare un po’.

In ascolto: TarantaTrance - Nidi d'Arac

venerdì, marzo 20, 2009

energie

Qui nell’aria c’è rabbia, e disperazione, e odio. Sentimenti intrappolati nelle ossa di un vecchio hippie costretto su una sedia a rotelle e nascosti su soppalchi sconosciuti; disegnati sulle facce tese di automobilisti stressati e imbottigliati nelle loro vite; che appaiono negli sguardi cupi di casalinghe in carriera mentre viaggiano in tram verso le loro tavole ancora da imbandire o in quelli di un giovane filippino che beve a lunghe sorsate da una bottiglia di gin mentre si ripara da una fitta pioggia che neanche a Manila. C’è rabbia, e disperazione, e odio, mentre i manganelli si alzano su gente inerme, i papi sparlano e i nani e le ballerine fanno la loro parte in un film già visto ormai troppe volte. C’è rabbia, e disperazione, e odio, ma intanto i corpi si intrecciano e le pelli si toccano, il pubblico continua a cantare e le mani si sfiorano. E “cosa racconterai di questi cazzo di anni zero” già lo sai da un po’ ma vorresti ancora “cambiare questa città in un’altra cazzo di città” con la “la lotta armata al bar”. E Giorgio Canali sul palco è un delirio anche se “i cccp non ci sono più” e anche se “il fumo che hai comprato sa di paraffina”. E sei “andato a vedere le luci della centrale elettrica” e nell’aria c’era un po’ meno rabbia, e disperazione, e odio. E le nostre energie, quelle che fino a poco tempo fa dovevamo chiedere in prestito, be’ quelle ora dovranno venirsele a cercare da noi…

sabato, marzo 14, 2009

Venere senza pelliccia

La montagna è baluardo immobile che regge impassibile gli scrosci potenti e fragorosi del mare. È innevata e rigogliosa, degna e possente, e sovrasta immobile le spiagge bianche calpestate da piedi nudi e da bambini impertinenti. Vive di calma. Piatta. A volte apparente. Avvolta nel silenzio, imperscrutabile, osserva, ascolta e assorbe le onde di un mare prepotentemente agitato, elegantemente mosso, teneramente inquieto. Sono onde che muovono e poi cancellano tracce labili del passato, del presente e del futuro. Moti circolari che bagnano, erodono e trascinano detriti ma che sono incredibilmente capaci di rinvigorire le radici. Tutto così naturale, tutto così vero, tutto mentre nello scontro si addensano dolci schiume e lei, Venere senza pelliccia, bellissima, appare.

sabato, febbraio 28, 2009

Getting pleasure

E voglio ancora godere, chiuso tra queste mura che intrappolano voci sussurrate.
Godere di pagine inchiostrate, del sole che irradia e acceca gli occhi chiusi e del tepore che cicatrizza.
Di bambini che tossiscono e di adulti rimasti bambini.
Godere di sorrisi tra labbra sottili macchiate dal vino; di occhi stanchi e di caffè bollenti.
Di capelli sporchi, herpes e umori da succhiare.
Di corpi nudi disegnati, sfiorati, presi.

mercoledì, febbraio 18, 2009

EQUILIBRIO

Siamo esistenze in equilibrio precario su di un intreccio di fili debole e tremolante; equilibristi in un mondo subalterno fatto di gioie e costrizioni, momenti di gloria e sogni ingombranti, riuscitissimi giochi circensi e rovinose cadute nel vuoto. Piccole oscillazioni provocano potenti turbamenti che solo una rete ben tesa è capace di respingere. E allora cerchiamo continuamente di alzare il baricentro per non venir risucchiati dai problemi di soldo e dai mali interiori, ma siamo precari, e a volte capita che neanche gli scorci di cielo azzurro e i tiepidi soli mattutini bastano a tenerci in piedi nella tempesta di pensieri che ci affollano la mente. Siamo giovani, chi più chi meno, ma troppo spesso le strade che abbiamo davanti ci sembrano in salita, con gli affitti da pagare, le rate da saldare e i denti da rifare. Eppure abbiamo capacità, tante, anche se a volte rimangono racchiuse nei nostri silenzi e nelle nostre angosce. Siamo in molti, con un passato troppo breve e un presente che a volte sembra volerci gambizzare, ma non riusciamo a non guardare al futuro che con occhi dolci e con il sorriso sulle labbra. Perché, in fondo in fondo, siamo fatti così; è in quel preciso istante che precede la caduta che siamo finalmente capaci di guardare in basso, studiare attentamente la rete e decidere che no!, non è ancora arrivato il momento di cadere, di lasciarsi risucchiare nei vostri anfratti, di darvi la soddisfazione di averci sconfitto… perché ne siamo certi: ieri come oggi, in un modo o nell’altro, la primavera arriva sempre…

In ascolto: Il paese è reale – Afterhours

mercoledì, febbraio 04, 2009

Dalle città...

Rispondo al telefono cercando di somministrarmi dosi massicce di endorfina autoprodotta, il mio nuovo Mac è fermo in un deposito di Eindhoven e Roma si mostra scontrosa, antipatica quasi ostile con il suo cielo grigiastro e una pioggia costante e infinita che sembra di stare a Londra…
Intanto per le città gira un po’ di tutto: Udine sta per diventare lo scenario di un cambiamento epocale nel nostro modo di raffrontarci con la morte e, forse, anche con la Chiesa Cattolica; a Nettuno le politiche demagogiche dei nostri governanti hanno cominciato a dare risultati vergognosi; Milano e il suo stadio hanno cacciato a forza di fischi un calciatore pagato uno sproposito e dal soprannome improbabile e a Sanremo comincia ad averci un senso anche la partecipazione degli Afterhours.
Dalle mie parti invece, in questi giorni ha girovagato Dominic Molise che, sconfessando il suo alter ego Bandini, ha deciso di restare a Roper, Colorado, invece di seguire i suoi fantastici sogni di gloria e raggiungere la California… Quel diavolo di John Fante, insomma, ha colpito ancora, ma ora scusate vado troppo di fretta: devo raggiungere Hemingway a Pamplona per la festa di San Firmino…


In ascolto: Piromani - Le luci della centrale elettrica

venerdì, gennaio 30, 2009

Consigli per gli acquisti...

Post breve di segnalazioni questo, dato che in questi giorni ci sono state un paio di cose viste, sentite e odorate che meritano di essere spinte e pubblicizzate un po’…

La prima riguarda www.spinoza.it, blog di un’ironia geniale che sovverte le regole del giornalismo e fa fare grandi e grosse risate ridicolizzando le notizie e i personaggi del giorno. Un esempio? Facciamo due, scegliendoli dai post più votati dagli utenti del sito nel sondaggio di fine 2008: "Una domanda per Obama. Ci invadete spontaneamente o dobbiamo proprio rifarlo tutto, il fascismo?". “Eluana ha compiuto 38 anni. Momenti di imbarazzo allo spegnimento delle candeline”. E come dicono i curatori nel blog nella sezione info: “Se le battute di questo sito non vi fanno ridere, siete Maurizio Gasparri”.

Passo ad altro e segnalo anche pandalikes.blogspot.com, blog della serie “A panda piace…” ideata da Giacomo Bevilacqua, giovane artista romano che espone in questi giorni al Fusolab di via Pitacchi 29 a Roma. Andatevi a vedere qualcuna delle sue tavole: il Panda sembra dare dipendenza alle persone di spirito e pronte ad accogliere con il sorriso i piccoli gesti… E a me, per farla breve, panda piace…

lunedì, gennaio 19, 2009

IL RE DELL'AVANA

La prima lettura dell’anno è stata un’immersione veloce per divorare, riga dopo riga, la storia e le avventure di Rey, giovane cubano protagonista de Il re dell’Avana, romanzo duro e mai scontato di Pedro Juan Gutiérrez, un autore che il mio caro Fajoint non ha esitato a suggerirmi come il Bukowski dell’Avana. L’autore, nato nell’isola nel 1950, ha avuto modo di “crescere” insieme alla Rivoluzione castrista, ma Gutiérrez è bravo, in questo libro, a non trattare mai direttamente quella stessa rivoluzione, a non nominarla, lasciando solo intuire al lettore quello che ha significato e continua a significare per la popolazione e per tutto l’ambiente cubano, senza facili retoriche e senza frasi già dette e sentite. Così Il re dell’Avana è “semplicemente” un romanzo che parla di una storia di un amore impossibile in una Cuba nascosta e poco conosciuta a noi occidentali; una Cuba di derelitti, poveri e incapaci, possessori di un’unica ricchezza: il proprio corpo. Un corpo da vendere agli angoli delle strade, sulle panchine del Malecòn o su materassi lerci in ricoveri di fortuna; per pochi spiccioli, per una bottiglia di rum o per un cartoccio di manì, ma anche e soprattutto per un po’ di felicità: quella negata a chi non ha vissuto altro che la miseria e le difficoltà di una vita passata tra riformatori e immondizia e che solo grazie al sesso riesce a fare capolino nelle vite di Rey, Magda e di tutti gli altri personaggi che compaiono in questo sconfortante affresco. Una felicità che, paradossalmente, consente a Rey di attribuirsi il titolo regale solo perché in possesso di un membro fenomenale e di due perlajanas incastonate nel glande che fanno letteralmente impazzire le giovani jineteras, i froci e le donne di ogni età; ma anche una felicità che in questo angolo di mondo non può essere destinata a durare a lungo, e che non riuscirà a impedire il tragico finale di quella stessa storia d’amore che consentiva ai due giovani di guardare al presente e al futuro con occhi più leggeri. Scritto con ritmo incalzante, senza filtri e senza mediazione alcuna nel linguaggio, Il re dell’Avana aiuta a guardare la bella e solare Cuba da un’ottima prospettiva e lei, stella polare e sogno utopico di diverse generazioni ne esce per quello che è oggi: un’isola affamata di sesso ma che più di una volta sembra non farcela ad andare avanti, un’isola stanca e bugiarda, povera ma pur sempre con il sorriso sulle labbra…

Il re dell’Avana. Pedro Juan Gutierrez – Edizioni E/O – € 8,00

“Lei gli si avvicinò. L’abbraccio e lo baciò. Entrambi erano più lerci e puzzolenti che mai dopo tanto voltolarsi su quel materasso fetido, pieno di cimici e pidocchi. Ma ovviamente non se ne accorgevano. Si sentivano benissimo. Magda lo baciò con amore, e riuscì ad ammansirlo”.

In ascolto: Methanphetamine Blues - Mark Lanegan

lunedì, gennaio 12, 2009

BUONI PROPOSITI

Camminare da solo e sentire la strada in pianura.
Chiudere gli occhi e accogliere il vento gelido.
Aprire la mente. Sognare. Godere.
Guardare una foto e ridere, ridere, ridere. In ascolto: Tono Metallico Standard - Offlaga Disco Pax