giovedì, febbraio 25, 2010

Refusando

Tra notti insonni, sfusi orari, email che propongono lavori a costo e zero e ancora tanti libri sul comodino, da queste parti si va avanti con nuove energie da investire nella lotta. Che ce n’è bisogno viste le tasche sempre più bucate e una precarietà ai limiti della sopportazione. E allora ci si reinventa, si scoprono nuovi linguaggi e nuove forme comunicative. Si sbatte la testa contro il tavolo dove è poggiato il portatile perché l’ftp non ne vuol sapere di capirti, e ci si immedesima per qualche giorno in un webmaster pronto a portare a termine il primo passo di un progetto che è l’unica prospettiva all’orizzonte.
Un progetto che si chiama Refusi, e che chi è del mestiere può capire che significa e chi no ci può trovare comunque un senso compiuto. È ideato, studiato e concepito da persone reali in un mondo liquido, da entità sovrapposte e da tessere di un mosaico tutto da sistemare. È una strada sterrata e comunque da percorrere per non rimanere fermi ad aspettare che un tir ti sbatta definitivamente sul ciglio. È un insieme di esperienze lavorative e di vita, di scrivanie logorate dai gomiti e di umori altalenanti; una condivisione che si fa gruppo e si propone in questo maledetto mercato con un’idea, che almeno quelle, le idee, non sono ancora riusciti a togliercele.
Si parte da qui allora (www.refusi.com), da un sito che vuole essere una vetrina per giovani addetti al lavoro editoriale più precari che mai, un sito che è un continuo work in progress e su cui più di una persona ci sta spendendo energie, forze e aspettative. È un sito semplice, un foglio bianco su cui provare a scrivere pagine di una storia tutta da inventare insieme a chi incrocerà il nostro destino.
E se anche voi che leggete riuscirete per un attimo a sentirvi un po’ Refusi… be’ allora aiutateci sostenendo l’idea, parlando di noi a mamme, figli e parenti vari, linkando il nostro sito sui vostri blog, sui vostri myspace e sulle vostre vetrine di facebook… che qua, diciamocelo chiaramente, ne va della sopravvivenza di una specie in via di estinzione…


In ascolto: La lotta armata al bar - LLDCE

domenica, febbraio 14, 2010

crisi

Dicono che oggi è San Valentino, ma l’amore se l’è preso l’uomo dei baci perugina. Dicono che si festeggiava anche il capodanno cinese, ma io ho visto solo draghi guidati da italiani brava gente e di cinese non c’erano manco le ombre. Dicono pure che è carnevale, ma mi sa che le maschere stanno tutte negli armadi delle streghe di Halloween.
Sì. C'è crisi. E gli stormi compiono delle evoluzioni incomprensibili.

martedì, febbraio 02, 2010

L'asfalto drenante dell'autostrada del sole.

L’asfalto drenante dell’autostrada del sole non è lo stesso che toccano le ruote del 12 notturno; quello che i proprietari del ristorante sotto casa cercano di prendere al volo chiudendo in fretta il locale che poi chissà quando passa il prossimo.
Sull’asfalto drenante dell’autostrada del sole puoi permetterti di stare sopra ai 100 pure se di acqua ne cade così tanta che Dio o chi per lui non la mandava da un po’. E pure se c’hai quella ruota da gonfiare di nuovo al primo benzinaio aperto.
E allora ci puoi pure bruciare chilometri velocemente sull’asfalto drenante dell’autostrada del sole, e manco accorgertene che la bottiglia del bianchetto che il tuo passeggero sta beatamente consumando da solo è quasi finita.
Una volta che hai lasciato la città eterna ci attraversi la campagna romana con l’autostrada del sole. La A1, l’autostrada regina, quella grande opera pubblica capace di accorciare le distanze già prima di facebook; quella stessa autostrada su cui, se prosegui fino in Toscana, ci puoi trovare un esempio di come procurarsi “gloria eterna” nel proprio feudo elettorale in pieno stile scudocrociato. Quella “curva Fanfani” che, si narra, sia una deviazione rispetto all’originale progetto, disegnata sulla carta proprio da Amintore per far arrivare un casello ad Arezzo, la sua provincia d’origine.
E poco importa se Perugia non abbia avuto un suo rappresentante capace di simil prodezze all’epoca, fatto sta che ora per arrivare da quelle parti si deve percorrere un’imbarazzante E45, che l’asfalto drenante dell’autostrada del sole, diciamocelo, se lo sogna.
Perugia è la meta designata da raggiungere per ascoltare il Maestro, quel tic impazzito della canzone d’autore che risponde al nome di Giampaolo Bruno Piccinini. Cantautore atipico che è solito esibirsi in bettole e cantine di seconda categoria, il Piccinini questa volta è stato chiamato a intrattenere un pubblico nuovo e attento che riesce ben presto ad apprezzare le sue dita incrociate sul bianco e nero della tastiera e la sua voce amara.
Perugia diventa allora un ideale punto d’incontro nemmeno troppo difficile da raggiungere. C’è gente amica che si è mossa un po’ dappertutto e pare che il nostro, dopo la A1 e dopo facebook, sia stato capace di ridurre ancora di più le distanze.
A fare da collante alle diverse provenienze una collaudata aggregazione di orsi marsicani, una sorta di fan club (più fun che fan in realtà), pronti a darsi battaglia sui banconi della città e all’interno della Grotta Paolina, dove è in scena la fiera italiana, con annessa degustazione, delle migliori grappe italiane.
Per arrivare al locale, piccolo ma accogliente, c’è anche il tempo di assaporare il freddo pungente della città passeggiando tra vicoli stretti e sotto porte antiche che sembra di stare all’Aquila quando era ancora viva. Ricordi e nostalgia nella gioia scanzonata di una chitarra scordata. Sul palco, solo come nelle rare esibizioni del Piccinini può succedere, in poco più di un’ora passa di tutto: favole e terremoti che si rincorrono insieme a una vela su cui soffiare, amanti e tanghi suonati dalla gelosia. E superciuk, e ministribrunetta a cui dedicare Lunghezza campo nomadi. E uomini in cenere e taverne di Zaccaria. Garcia Lorca e “rapsodie portegne”. Corpi di donne, salsedine e chimere. Verbali di pignoramento e bicchieri di whisky smezzati con sorsi d’acqua. “Turbini di rondini in cielo e in fuga dal gelo” e “Cera delle ali, precipizi di umori e addii”.
Dentro al locale non si fuma, e allora è gioco facile inventarsi una pausa sigaretta per camuffare un bis che arriverà solo mezz’ora dopo, quando tornano all’interno i fun e il gioco etilico prende il sopravvento su quello delle parole; degna conclusione di uno spettacolo che è insieme musica e amore, notti in bianco e vestiti buttati sulla poltrona, vino nel tetrapak e tasche bucate.
Per riprendere a bruciare chilometri sull’asfalto drenante dell’autostrada del sole, però, c’è ancora tempo. Una notte intera. Da riempirsi gli occhi e la memoria di facce che ridono, di accordi strappati, di bocche che sboccano e di intermezzi. Di gocce di neve che cadono da cieli neri, di bucce di mandarino nascoste sotto i sedili e di fazzoletti usati come block notes alla faccia dell’iPhone.
E c’è tempo anche per “maledire i ritmi della società moderna”, per scordarsi di aprire il sacco a pelo e per scovare una scogliera disegnata a matita dentro la grotta tra un po’ di filosofia e l’ultimo bicchiere di grappa… quella che rimane sulla bocca dello stomaco e che non ne vuol sapere di andare giù.