venerdì, aprile 30, 2010

Intanto qua vicino costruiscono case di lamiera e polvere.

Ci sono panni stesi ad asciugare da queste parti. È domenica mattina e i bambini continuano a venire al mondo anche se i concerti costano troppo, le tasche son sempre bucate e gli affitti da saldare soffiano sul collo a ricordarti che l’aria è buona ma di questi tempi costa cara. Intanto qua vicino costruiscono case di lamiera e polvere. Le fanno dentro i nidi di merlo sui ciliegi in fiore. Dicono che sia facile, che basta trovare il giusto equilibrio nell’impasto e poi è fatta; si possono innalzare fino anche al terzo piano se si è bravi nel prepararlo, l’impasto. Per gli intonaci, invece, servono i professionisti, ma pure quelli sembra si facciano pagare un bel po’. E comunque oltre al terzo piano proprio non si può andare, che se poi fa il terremoto cade tutto giù in un attimo. Io intanto osservo dal bar, che quando arrivo in un posto nuovo, per conoscerlo, devo andare a sentirne gli odori e gli umori nei luoghi in cui l’umanità si incontra e beve birra o prende semplicemente un caffè discutendo del derby che verrà. E allora, dai tavoli che tornano a riempire i marciapiedi in questa primavera un po’ così, è facile provare a scorgere case e cose nuove all’orizzonte, anche se si tornano a incontrare per qualche ora i passati e le vecchie conoscenze, che ora è bello anche solo raccontarsi “come ci va” in questa città che sa bene come tagliarti le gambe quando ne ha voglia.

E che poi a tutti vada un po’ a cazzo è altro discorso, scontato quanto basta per ricordarci che dalla merda è difficile uscirne e che beato è chi ci riesce. C’è crisi, nera, e non è una novità. Le facce sono scure e chi più chi meno ha cominciato a richiudere il cassetto dei propri desideri.

Restano i limoni, quelli che riempiono ancora le bottiglie. I pedali che spingono le gomme gonfie sull’asfalto e gli umori che si confondono tra le lenzuola. E allora fanculo se la mia casa di lamiera e polvere forse non ce l’avrò mai. Se le tengano pure. Io ora mi siedo qui, tra un tram e i passanti intorbiditi. Stappo una familiare di Peroni e mi sciacquo la bocca dalle bacche selvatiche e dalla pioggia vulcanica. E mi metto nudo alla finestra del mio seminterrato senza balcone. E schiarisco la voce. E gracchio.