martedì, settembre 13, 2011

Aspetta primavera Lucky, l'editoria ai tempi del brand.

Pubblicato originariamente sul blog dei Refusi
Essere un lavoratore dell’editoria del terzo millennio significa, in gran parte dei casi, soffrire di una crisi che da ormai troppo tempo investe il settore. Essere un lavoratore dell’editoria autonomo, altrimenti detto freelance, invece può anche significare di vivere in crisi economica ed esistenziale per 350 giorni all’anno (dal conto si possono provare a escludere le feste comandate che servono pur sempre a dare un po’ di sollievo). Soldi da racimolare per pagare l’affitto e notti insonni a cercare di farsi venire una benedetta idea che permetta di cambiare le cose; tempo e denaro spesi tra brunch e happy hour a cui partecipare per conoscere le “persone giuste”, e-mail inviate senza ricevere quasi mai risposta e tante forze impiegate a cercare di recuperare crediti per lavori svolti tre o quattro (se tutto va bene) mesi prima.

È la dura vita dei lavoratori dell’“industria” editoriale; spesso senza diritti contrattuali, ma non esenti dal dover rispettare tempi di consegna da maratoneti e sempre alla ricerca di nuovi appigli cui aggrapparsi per non scomparire nel grande buco nero dell’anonimato.

È quella stessa dura vita raccontata sarcasticamente e con gran talento da Flavio Santi nel suo Aspetta primavera, Lucky, romanzo uscito a inizio anno per inaugurare “Luminol”, la nuova collana dei tipi della Socrates.

Un libro che, scimmiottando il titolo e il personaggio di fantiana memoria e accostandosi alla Vita agra di Bianciardi, ci guida in un mondo fatto di licenziamenti di bravi direttori editoriali per far posto al raccomandato di turno e di bollette scadute; di conduttori televisivi che si occupano di libri senza averne mai letto uno e di scrittori ormai vittime del loro essere diventati brand. Il talentuoso traduttore Fulvio Sant, alter ego dell’autore, è così costretto a rifugiarsi “mettendo la testa sotto terra”, come fanno gli struzzi, tappandosi le orecchie e cercando di (r)esistere, pesando quotidianamente le proprie traduzioni per capire se il numero di pagine basterà per luce, gas e telefono a fine mese.

Gli incontri con i personaggi grotteschi che popolano le scrivanie che contano, editori che non pagano (e a voler cercare il pelo nell’uovo ci sarebbe da chiedere all’autore il perché della scelta di non fare i nomi in un libro in cui i riferimenti a cose e persone sono tutt’altro che casuali), una compagna fissa e una con cui soddisfare i bisogni sessuali, la scrittura destrutturata tra il ghostwriting e i mille corsi per improbabili studenti universitari pur di farla diventare pane quotidiano… la vita di Fulvio Sant è tutto quello che non si sarebbe mai aspettato di dover affrontare dopo gli studi, le lauree e i master conquistati con sudore nel tempo. Ma la realtà che emerge dalle pagine di questo piccolo dramma generazionale è ben più amara e allora, a ben vedere, è lui che può permettersi di aggiornare proprio l’autore della Vita agra su quello che è diventato il “suo” mondo oggi: «Caro Bianciardi, tu non puoi saperlo, ma noi siamo la prima generazione di intellettuali-operai. Che buffo, una volta Flaiano ha scritto: “Non ci restano che gli artisti a voler sembrare operai”. Adesso lo siamo diventati per davvero, e non per posa snobistica. […] Senza soldi, senza futuro e senza nulla da perdere e da rimpiangere». Già, una realtà decisamente amara e un libro da far leggere a tutti quelli che, al primo incontro, sono abituati a chiederti: «E tu che lavoro fai?».

Flavio Santi, Aspetta primavera, Lucky, Socrates, Roma 2011

martedì, giugno 28, 2011

Annunciazio' annunciazio'

Il testo di presentazione di Arzibanda 2011.

Sì sì, lo sappiamo che un po’ in tutta Italia si stanno festeggiando i 150 anni dell’unità, ma lasciateci essere orgogliosi di potervi invitare a un altro tipo di celebrazione, ché essere arrivati alla QUINDICESIMA ARZIBANDA è cosa grossa per noi e per tutti quelli che negli anni hanno avuto a che fare con questa sorprendente esperienza.

Questo è dunque un invito per chi crede che sia realmente possibile organizzare il caos e che la qualità sia ancora meglio della quantità, per chi ama condividere un bicchiere di vino tra piazze e piazzette e per chi vuole tornare a vivere le strade del nostro vecchio paese come mai si riesce a fare durante l’anno.

Questa è un’esortazione a godere della gioia e della spensieratezza, dei balli e delle goliardate, di bande sgangherate e di suoni evocativi che accompagnano i sogni. Un invito per chi le maschere da saldatore è abituato a vederle addosso a chi lavora sui binari al sole e non se le aspetterebbe mai sopra un palco indossate da celati musicisti “fuori dal comune”.

È un invito a venire a vedere e a testare con mano come in questa festa tutti possano sentirsi partecipi e tutti siano contenti di dare una mano, sudando a lungo prima e gioendo poi, magari dopo aver montato un palco sotto il cielo estivo o dopo aver cucinato mille arrosticini.

Questo è un invito a venire ad ascoltare Ascanio Celestini e la sua “lezione” sul razzismo, le sperimentazioni musicali dei This Harmony e le atmosfere reggae dei Franziska. A togliere i freni alle gambe con i ritmi balcanici della Zastava e poi ancora a godersi il blues elettronico dei The Cyborgs, la musica per barbieri dei BahBohMah, le rime in romanesco del Muro del Canto e le contaminazioni del jazz gustando un aperitivo multietnico, anche quest’anno offerto dalle comunità degli immigrati durante quella “Festa dei colori” che tornerà a mischiare e unire culture e tradizioni lontane.

Questo è un invito ad aiutarci a rendere Arzibanda ancora una volta speciale; con la vostra partecipazione, i vostri sorrisi e la voglia, genuina, di divertirvi insieme a noi. Se state pensando di farci un regalo, sappiate che questo, a noi, è quello che piace di più!

martedì, giugno 21, 2011

Il giornalismo informatico ai tempi di Brunetta

Qualche giorno fa l’aitante ministro Brunetta disquisiva davanti a una telecamera sui giornali informatici in cui lavorano centinaia di precari sfruttati della becera e ipocrita sinistra. Il ministro si era forse dimenticato però, dannata memoria, di un altro giornale online, finanziato dalla sua fondazione e affidato a un’agenzia di comunicazione che cura la sua immagine anche su facebook e che stipendia una persona addetta a cancellare gli insulti che gli vengono rivolti ogni volta che lui se la prende con il mondo intero.

Io in quella agenzia c’ho lavorato. Ho cominciato il mio rapporto con loro mercoledì 8 giugno e sono stato licenziato ieri, lunedì 20 giugno. Escludendo quella volta di qualche anno fa in cui andai a fare volantinaggio e smisi dopo due giorni per una sorta di gotta ai piedi, posso dire con certezza che sia stata l’esperienza lavorativa più breve della mia vita.

Ora, c’è da dire che là dentro mi stavo facendo un fegato grosso così a sopportare le linee editoriali dettate dai diversi clienti a cui si doveva far dei piaceri evitando di dare notizie scomode, ma il lavoro è lavoro e allora si andava avanti cercando di ottemperare le richieste di un silenziosissimo “direttore senza direzione” e degli altri “redattori senza redazionali” con più esperienza alle spalle.

E il fegato grosso così mi si è fatto anche nel sentirmi dire che per fare una notizia sui loro siti basta cambiare il titolo, l’attacco del pezzo e poi fare comodamente copia e incolla dalla fonte originaria (“Soprattutto da Dagospia che quelli non sono indicizzati dai motori di ricerca!!!”). Poi fa niente se il motivo per sbatterti fuori è che hai fatto copia e incolla per inserire 100 articoli in due giorni su un sito che doveva vedere la luce il giorno dopo. Loro queste cose non le fanno: “Te le sei sognate e noi siamo un’azienda seria”.

E vada pure questa, vada che hai dovuto recensire biografie di politici mafiosi senza manco (fortunatamente) aver letto il libro, vada che sei stato tacciato di essere l’unico elemento polemico della redazione solo perché hai chiesto informazioni sulla linea editoriale del giornale dopo esserti preso un rimprovero a 200 decibel, vada che gli hai dedicato anche un’intera domenica ad assecondare i deliri leghisti e che non hai potuto pubblicare la foto di quando la Polverini imboccava Bossi.

Vada via tutto! Che quello che rimane, per l’ennesima volta, è il senso di smarrimento per un settore troppo precario, in cui l’informazione si misura in accessi (e allora va bene anche metter due seni in bella mostra per far salire lo “share”) senza preoccuparsi né della qualità né dell’aspetto di quello che si pubblica, in cui se non sei uniformato alla linea di pensiero del cliente sei polemico e in cui c’è sempre una lettera di licenziamento, quando sei fortunato a firmare un contratto, pronta dentro il cassetto del capo dei capi…

Pubblicato originariamente sul blog dei Refusi.

martedì, febbraio 01, 2011

La bella televisione

In un palinsesto televisivo colmo ormai fino all’osso di nani, ballerine e puttane che sbraitano, si insultano e si mandano all’altro paese vicendevolmente e con assoluta nonchalance, è tornato finalmente a regalarci una boccata d’aria Presadiretta, il programma in onda la domenica sera su rai Tre. Diretta pregevolmente da Riccardo Iacona, la trasmissione si presenta mostrando ogni volta quanto un modo diverso di intendere il mezzo televisivo e il mestiere del giornalista sia non solo necessario, ma anche possibile. Il suo programma è ogni volta un pugno allo stomaco e, allo stesso tempo, una sveglia quanto mai salutare per destarsi dal grigiore politico e mediatico in cui questo Paese è sprofondato. Una trasmissione che indaga, documenta e fa domande molte volte scomode a chi è ormai abituato a interviste con tappeti rossi stesi ai propri piedi. Nessun politico di turno in studio a urlare, nessun presidente del Consiglio a telefonare da casa. Solo i fatti, nudi e crudi, come non si vede più da troppo tempo. Aggiungeteci poi una redazione e un gruppo di lavoro indomabili, storie troppe volte dimenticate dal mainstream e il mix è più che riuscitissimo. Domenica il primo appuntamento della nuova serie lunga otto puntate è stato dedicato ad Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica morto ammazzato cinque mesi fa in circostanze ancora da chiarire; una scelta coraggiosa, come sempre, che ha dato a Iacona il giusto pretesto per ritornare su temi che la stessa trasmissione aveva trattato prima della pausa. Così la 'ndrangheta, e i suoi rapporti con la politica, sono tornati a occupare la prima fascia serale mostrando un Paese altro, molto distante come sempre dai problemi di “attualità” e lontano dalla politica dei palazzi romani dove si scelgono le candidature e le carriere. È proprio questo il punto più forte della trasmissione: Iacona e la sua troupe “vivono” e mostrano il “territorio Italia” come nessun’altro è capace di fare, e se ogni volta non ci resta che stupirci, allora scusate ma è proprio vero che siamo stati abituati troppo male. Chapeau.