lunedì, dicembre 31, 2007
Buona fine e buon principio...
In ascolto: "penso a meno stress e più farfalle", Manifesto - Bandabardò
giovedì, dicembre 27, 2007
Sono zio.
E' nato Michael. Figlio di mio fratello e di mia cognata. Da qualche giorno sono zio. Ora posso confermare quello che mi ha sempre detto la gente he mi è stata intorno in questo periodo: una volta che lo hai visto al mondo, non può che farti un effetto di piacevole stupore, anche se prima sembrava quasi che non te ne fregasse niente. Chiaramente mi ci sono già affezionato e oggi sono riuscito a compiere il gesto di tenerlo in braccio, minchia che botta emotiva ragazzi. Spero che la sua vita sia pieno di tutto ciò che cercherà... Non sarà facile in questo mondo del cazzo.
In ascolto: Goin' against your mind - Built To Spill
giovedì, dicembre 13, 2007
Aspetto un nipote che all'ottavo mese e qualche settimana di gestazione pesa già 3 chili e otto....
In ascolto: Una giornata senza pretese - Vinicio Capossela
mercoledì, ottobre 31, 2007
Alla cortese attenzione dei Ministri Di Pietro e Mastella
...La politica del centrodestra al riguardo si è mostrata del tutto indifferente: a vuoti annunci si sono affiancate misure che contrastano con il rispetto della legalità, l’inerzia rispetto alla criminalità economica, un abbassamento della guardia nel contrasto alla criminalità organizzata, l’utilizzo delle forze di polizia per operazioni repressive del tutto ingiustificate; basti pensare ai fatti di Genova, per i quali ancora oggi non sono state chiarite le responsabilità politica e istituzionale (al di là degli aspetti giudiziari) e sui quali l’Unione propone, per la prossima legislatura, l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta.
mercoledì, settembre 26, 2007
venerdì, settembre 21, 2007
Scrittodattilo
In ascolto:
C'è qualche cosa di sbagliato nell'amore
C'è che quando finisce porta un grande dolore.
Perchè quando un'amicizia muore non c'è
questo strazio che sa di tremenda condanna?
Marlene Kuntz - Uno
domenica, settembre 16, 2007
Colloquio
martedì, agosto 28, 2007
È strano come a volte singoli e apparentemente insignificanti episodi possano dare un senso diverso alla giornata. Insomma; porto addosso questa maglietta con questa scritta di George Orwell da diverso tempo, ma mai le avevo dato il senso di questa mattina. Una mattina passata tra le strette maglie della burocrazia e delle leggi italiane, che mi hanno portato di nuovo ad effettuare i controlli per dimostrare a chissà poi chi, che non sono un alcolizzato solo perché quella sera ho superato il limite all’etilometro dello 0.05%. Comunque, la T-shirt su citata, piacevole ricordo dell’esperienza in Malatempora, recitava: “Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”… Ora; nel cercare di analizzare il significato globale della frase, scritta dall’uomo capace di realizzare quel capolavoro di libro che risponde al titolo di “1984” ci si potrebbero passare ore, ma non mi sembra questo né il luogo né la situazione adatta per discuterne. Qui piuttosto mi piace appuntare di quell’infermiera bruttina e un po’ svogliata che alle nove di questa mattina, dopo una notte passata insonne e ad occhi sbarrati, mi ha succhiato via dal braccio quel po’ di sangue nell’ambulatorio Usl della città. La tipa non ha fatto niente di speciale, sia chiaro, e forse sono io che, come al solito, ci sto facendo su troppi ricami, ma quando dalla sua postazione di fronte a me sul tavolo, e mentre cercava affannosamente una vena in cui infilare l’ago, ha detto che quella frase “In fondo vale anche per le situazioni personali” mi ha quasi sconquassato più del sangue in meno che mi sono ritrovato a fine trattamento. Mi è bastato rileggerla a mente la frase per capire che la signorina, credo che tale fosse, aveva colpito… “Nel tempo dell’inganno universale”, quando le tue proiezioni sul futuro sono basate solo su speranze che già in passato si sono dimostrate molto fragili, “Dire la verità è un atto rivoluzionario”. E allora sì, basta guardarsi allo specchio per dirsi che no, così non và. Che quell’atto rivoluzionario, in fondo, può essere fatto anche su se stessi. Per guardarla in faccia la realtà. E per cercare di aprire, presto, nuovi orizzonti, nuove idee, nuovi sogni.
In ascolto: One way street - Mark Lanegan
martedì, luglio 31, 2007
Soundpedia, radio 2.0 per sostituire Pandora
lunedì, luglio 30, 2007
tempi morti
martedì, luglio 03, 2007
Wikipedia Italia costretta a cedere al diritto d’autore
Acque movimentate in Italia attorno alla nota enciclopedia telematica di Wikipedia. Sta facendo discutere, infatti, la decisione presa da amministratori ed utenti di Wikimedia Commons e della Wikipedia italiana secondo cui andranno eliminate dalle pagine tematiche le immagini di importanti artisti contemporanei e moderni italiani a causa del diritto d’autore. Una decisione che rischia di far arretrare il nostro paese con un pesante danno per i beni culturali italiani, relegati in questo modo in seconda fascia per il poco spazio a disposizione sulla enciclopedia più grande del mondo. La decisione presa dagli amministratori è la logica conseguenza della legge italiana in materia di Copyright, quella legge 633 datata 1941 che non contempla il cosiddetto panorama freedom (libertà di panorama), che permette a chiunque di fotografare e riprodurre quanto pubblicamente visibile senza preoccuparsi di dover trovare il progettista e pagargli i diritti d'autore. Abbiamo sentito in merito Frieda Brioschi, presidentessa di Wikipedia Italia, che suo malgrado si è trovata a dover appoggiare la decisione.
 
Come siete arrivati alla decisione?
Purtroppo non c’era altra possibilità perché la situazione è abbastanza complicata dal punto di vista legislativo. Già nel gennaio 2007 la Soprintendenza per il Polo Museale fiorentino ci ha diffidato per l’uso "in modo non autorizzato di immagini di opere conservate nei musei statali di Firenze", e questo non è l’unico caso. Ci dobbiamo attenere alle leggi.
 
La legge italiana però rappresenta un’anomalia rispetto agli altri paesi
Dal punto di vista internazionale c’è un po’ di confusione perché in effetti non esiste una legislazione uniforme e in Italia scontiamo il fatto di avere una legge assolutamente non al passo coi tempi. Basti pensare che noi dobbiamo togliere le foto di un’artista italiano pubblicata sui nostri siti ma se un tedesco che viene in Italia scatta le foto e poi le pubblica su un sito del suo paese può farlo tranquillamente perché nessuno glielo vieta. Poi non c’è di mezzo solo l’Europa, ma chiaramente anche l’America e tutto il mondo in generale, per cui chiaramente ci sono situazioni e contingenze varie che rimangono difficili da spiegare anche a chi partecipa attivamente nelle pubblicazioni.
 
In questo senso voi avete le mani legate?
Si anche perché è vero che Wikipedia è un sistema che va oltre i confini, ma noi dobbiamo seguire le leggi italiane. Quello che abbiamo sempre cercato di fare noi e uno degli scopi dei nostri progetti è il riuso dei contenuti, è una questione di gestione interna per cui ci siamo sempre attenuti alle leggi in vigore in modo che l’edizione italiana potesse essere utilizzata da italiani.
 
Quale potrebbe essere la soluzione a questo punto?
Sono convinta che dal punto di vista legislativo non si possa risolvere celermente; anche se c’è qualche tentativo di cambiare la legge, siamo ancora lontani da una soluzione sotto questo punto di vista. Quello che piacerebbe a me, e che spero succeda presto, è che si schierassero in prima linea gli artisti stessi. Una presa di posizione forte, magari con una bella e sana dichiarazione dei proprietari dei diritti per consentire una più facile fruizione da parte di milioni di utenti.
venerdì, giugno 29, 2007
Le web radio americane contro gli aumenti per il Copyright
venerdì, giugno 22, 2007
Cronache da Second Life
Ancora violenza nei videogiochi, “Manhunt 2” vietato in Italia
Tornano in primo piano le polemiche legate alla violenza nei videogiochi. Questa volta a finire sul banco degli imputati è stato il videogame 'Manhunt 2' ('Caccia all'uomo 2') sviluppato dalla società americana Rockstar Games e disponibile per Playstation 2 e Nintendo Wii. Il videogioco è già stato vietato in Gran Bretagna perché giudicato troppo violento, tale da poter causare danni a adulti e bambini e ora anche il ministro delle comunicazioni Gentiloni ha espresso parere negativo alla sua commercializzazione in Italia chiedendo alla Take Two di non distribuirlo nel nostro paese. La decisione di vietare il gioco in Gran Bretagna è stata presa dall’Ufficio di classificazione dei film (Bbfc) che non arrivava ad una tale sanzione da dieci anni, quando a finire tra le scure della censura fu “Carmageddon”. La motivazione che accompagna la decisione di vietare la commercializzazione nel Regno Unito recita: “il seguito di ‘Manhunt’ - già noto per essere molto violento - si concentra in permanenza su inseguimenti e omicidi brutali, incoraggiando a uccidere in maniera efferata.” Il direttore dell'organismo di classificazione dei film, David Cooke, ha inoltre spiegato che non è stato possibile suggerire semplicemente modifiche al gioco poiché vi regna un ambiente "sadico". Ora gli sviluppatori hanno sei settimane di tempo per ricorrere in appello contro la decisione, ma le possibilità di capovolgere il verdetto sembrano molto basse per un gioco che già nella sua prima edizione del 2003 aveva rischiato il divieto totale, trasformato poi in un divieto ai minori di 18 anni.
Panzeri: “presto vedremo l’Air Guitar in televisione”
 
Panzeri, come vi siene avvicinati al fenomeno Air Guitar?
È un fenomeno che abbiamo visto crescere negli altri paesi. Nel mondo esiste ormai da vent’anni mentra in Italia nessuno ci aveva ancora pensato. Su internet e YouTube però era possibile visionare centinaia di video e allora insieme ad un gruppo di amici abbiamo deciso di provare ad organizzare il primo Contest italiano in maniera un po’ casalinga ma efficace.
Come è andata?
Direi benissimo. È chiaro che quando si fa una cosa per la prima volta si è sempre portati a dire che è stata magica, ma mai come in questo caso è la verità. L’air guitar è un fenomeno spontaneo e lo abbiamo vissuto come tale pasando una serata molto divertente. La serata al Tunnel di Milano ha avuto un gran sucesso tra il pubblico tale che stiamo già pensando ad una nuova edizione per l’autunno prossimo, ma questa volta vogliamo fare qualcosa di più concreto cercando di coinvolgere anche degli sponsor.
 
Pensa che si possano trovare sponsor interessati?
Assolutamente. Quella dell’air guitar è una realtà che coinvolge molti giovani e è facile che l’onda di questo fenomeno possa essere presto cavalcata anche commercialmente dagli sponsor. Io lo vedo come il corrispondente maschile e rock di “Non è la rai” o quello giovane della “Corrida”. È un fenomeno molto televisivo, e non dubito che presto lo vedremo su qualche rete. Del resto si tratta anche di volersi mostrare e in un periodo come questo in cui in tv si fa la fila per apparire…
Si è chiesto Panzeri cos’è che spinge le persone a salire sul palco per mimare un pezzo rock senza strumenti?
Per me non c’è tanto da chiedersi in realtà. La passione per il rock ha sempre generato il fenomeno del suonare davanti allo specchio per assomigliare a un rocker famoso. Per questo non c’è bisogno nemmeno di fare allenamento, lo si fa e basta. Una cosa è certa: ci vuole veramente una gran bella faccia tosta, perché le assicuro che farlo davanti a mille persone da un impatto molto violento per chi non è un professionista. Non è per niente facile a differenza di quanto sembra.
 
E volendogli dare una valutazione sociologica?
Se proprio vogliamo darla direi: la rivincita di chi per tutta la vita ha comprato musica e biglietti musicali. Ma direi che la definizione che abbiamo adottato è ancora più esplicativa: il carnevale dello stronzo qualsiasi che diventa star per una sera. L’Air Guitar è una via di mezzo tra l’oratorio e il club mediterranee, la spontanea associazione a delinquere, l’happy hour e la festa in discoteca. È veramente popo nel senso di popolare, un fenomeno molto carino perché le rock star siamo noi per una volta. C’è dentro quasi una vena di rivoluzionaria in tutto ciò.
giovedì, giugno 21, 2007
Musica indipendente, oggi lo sciopero
Appuntamento oggi con la giornata di sciopero contro i grandi network radiofonici colpevoli di non inserire nelle proprie programmazioni la musica indipendente e quella dei giovani gruppi emergenti. Una giornata di protesta in cui Audiocop, l’associazione che riunisce più di cento etichette indipendenti, chiede agli ascoltatori di spegnere le radio che fanno capo alle grandi multinazionali del disco e trasmettono musica seguendo le regole delle Playlist e del Music Control. Ne abbiamo parlato con Enrico Capuano, cantatutore romano da sempre in prima linea nel proporre la musica indipendente e oggi conduttore di “Radio Casbash”, trasmissione in onda da settembre e fino a fine giugno su Teleambiente.
Capuano, lei si è sempre impegnato per promuovere la musica indipendente. Da dove nasce questo bisogno?
La musica indipendente rappresenta un panorama troppo interessante per essere messo da parte come fanno i grandi network. Io faccio trasmissioni ormai da 25 anni (la prima su Radio Onda Rossa a 13 anni, ndr) e ho sempre cercato, nelle mie esperienze, di dar voce alle realtà più interessanti della musica indipendente e emergente perché è proprio da questo settore che possono arrivare proposte nuove e originali. Meritano più spazio di quello che hanno attualmente e quindi per me è giustissimo creare nuovi spazi per dargli più possibilità. È da questo bisogno che nasce “Radio Casbash”, una trasmissione in cui gli artisti indipendenti hanno spazio e visibilità per la promozione della loro musica e dei loro videoclip.
È da qui che nasce anche la voglia di diventare testimonial dello sciopero?
Sì, perché abbiamo deciso di lanciare un segnale, un appello. Non è che vogliamo fare una manifestazione contro le radio, ma fargli capire che ci siamo anche noi. Non chiediamo certo di rivoluzionare i palinsesti, ma di dare un po’ più di spazio agli indipendenti perché adesso, se si esclude “Demo”, nessun’altro si occupa del fenomeno. Dovrebbero capire che il nostro settore ha delle grandi potenzialità e che dargli un po’ di visibilità è ormai necessario. Insomma, se Capuano e Piotta riescono a suonare sul palco del primo maggio facendo ballare 500 mila persone vuol dire che la musica indipendente varrà pure qualcosa. Io in fondo posso ritenermi fortunato visto che tra gli indipendenti sono uno di quelli che suona di più in giro per l’Italia e anche per questo sono in prima linea come, diciamo così, “speaker” di tutto il settore.
Quindi secondo lei le radio non hanno tutte le colpe?
Le radio, purtroppo, fanno parte di un circuito difficile da cambiare, ma non sono le uniche ad avere colpe. Io vedo nella musica italiana quelllo che purtroppo accade in tanti altri settori; una sorta di lobbismo che consente a gruppi con appoggi alle spalle di arrivare al successo anche con cattiva musica e l’impossibilità all’accesso di certi canali per chi non è appoggiato da nessuno. Le idee ci sono e sono anche buone, ma a certi livelli diventa veramente difficili farsi conoscere. Sembrerà strano, ma nel 2007 c’è ancora una forte distinzione di classe anche nella musica che invece è un “diritto” del popolo e come tale dovrebbe essere salvaguardato.
Quali sono le soluzioni per Capuano?
Io mi rivolgo soprattutto ai più giovani. I gruppi emergenti devono sforzarsi di fare cose interessanti. Produrre qualcosa di originale, con professionalità e approfondendo le proprie passioni. Devono partire da loro stessi per creare interesse. Ma a questo deve far seguito anche l’attenzione del pubblico. Quello che non vedo oggi è l’interesse per le nuove idee come accadeva ad esempio negli anni ’70 quando c’era una grande disponibilità verso i nuovi ascolti. Per le soluzioni da attuare subito invece mi piace l’idea di Sangiorgi, quella di creare un canale satellitare Rai dedicato interamente alla musica indipendente, ma in questo dobbiamo essere tutti più forti e far sentire la nostra voce anche al “tavolo della musica” per far sì che le promesse diventino presto realtà.
venerdì, giugno 15, 2007
Sangiorgi: “Creiamo RaiSat Musica per far crescere la musica italiana”
I primi risultati ottenuti dal “Tavolo della musica” in questi giorni hanno soddisfatto quanti si stanno impegnando per il miglioramento della condizione della musica italiana. Alla soddisfazione espressa ieri, su Off, dal Presidente della Commissione Cultura Pietro Folena, si aggiunge oggi quella di Giordano Sangiorgi, presidente di Audiocoop, il primo a scendere in campo nell’organizzare un soggetto in grado di far riunire allo stesso tavolo Governo e maggiori associazioni musicali italiane. Ora Sangiorgi si dice “estremamente soddisfatto” di quanto il “Tavolo della musica” sia riuscito a fare fino ad ora, e chiede che a questo primo passo faccia seguito un lavoro continuo e duratore per riuscire ad arrivare presto ad una nuova legge per la musica.
giovedì, giugno 14, 2007
Sinead O' Connor canta il Vecchio Testamento
Quella di Sinead O’Connor che strappa la foto di Papa Giovanni Paolo II rimarrà alla storia come una delle immagini mediatiche più forti di sempre. Era il 1992 e quella sera negli studi della Nbc, dove si trasmetteva il “Saturday night live”, più di qualcuno rischiò le coronarie per quel gesto di protesta verso le testimonianze di abusi su minori nelle scuole cattoliche irlandesi e la relativa difesa della Chiesa e del finanziamento del Vaticano per le spese legali dei sospetti. Oggi, dopo 15 anni, la O’Connor torna sulla scena con un nuovo disco che, per i temi trattati, non può non far tornare alla mente la sua performance, anche se la 40enne cantante irlandese ha sempre preferito soprassedere sull’argomento, salvo poi riservare un trattamento particolare all’attuale pontefice, definito recentemente “un Papa per cui non si prova nulla: tiepido, freddo, che non è né carne né pesce, come dicono le Scritture”. L’ultima fatica della O’Connor si chiama “Theology”, un album dai contenuti teologici basato, come spiega lei "Sul Vecchio Testamento, quello meno conosciuto e più affine alla sensibilità di un'artista." Un lavoro nato nell’anima di Sinead, cattolica irlandese, ma sempre pronta a condannare le gerarchie ecclesiastiche e le organizzazioni religiose, che con “Theology” ha dichiarato di voler “semplicemente fare qualcosa di bello, qualcosa di bello che mi ispira" in quella che è la sua risposta personale a quello che è successo e che influenza la vita di tutti in tutto il mondo dall'11 settembre 2001, “un tentativo di creare un posto di pace in tempo di guerra”. Il disco, pubblicato in Italia dalla Radiofandango di Procacci e Senardi, su etichetta That’s Why There’s Chocolate and Vanilla, è un doppio album, ovvero diviso in due dischi. Il primo, “Dublin Session”, prodotto da Steve Cooney, il secondo, “London Session”, da Ron Tom. Il primo cantato in versione acustica, il secondo realizzato con band e orchestra, ma che propongono un programma quasi identico. "Theology", in cui la O’Connor interpreta anche salmi sacri e versi estratti dai libri di Giobbe, Isaia e Geremia, contiene 8 canzoni inedite: "Something beautiful", "Out of the depths", "33", "Dark I am yet lovely", "If you had a vineyard", "The glory of Jah", "Watcher of men" e "Whom so ever dwells". E tre cover: un omaggio all’orgoglio afroamericano con una versione soul di "We people who are darker than blue" di Curtis Mayfield, inno al rispetto di sè; il tradizionale spiritual reggae "Rivers of Babylon" con il testo riscritto da Sinead O'Connor e un'interpretazione feroce di "I don't know how to love him" (tratta da "Jesus Christ Superstar") della coppia di autori Andrew Lloyd Webber e Tim Rice che una volta ascoltata l’interpretazione ha dichiarato: "La voce magnifica di Sinead O'Connor mi ha permesso di trovare nuove prospettive in una canzone che è parte della mia vita dal 1970. Riesce sempre a cogliere la profondità di ciò che canta, che sia un lavoro suo o di altri. Sono contento di essere uno degli altri in questa occasione". Un perfetto biglietto da visita per una donna che attraverso le sue canzoni  vuole ora “trasmettere con la musica qualcosa di bello, stimolare chi ascolta alle proprie meditazioni spirituali, ed esprimere gratitudine al Creatore”.
martedì, giugno 12, 2007
Giò di Sera, l’arte al servizio del prossimo
DJ, radio maker, organizzatore d’eventi e showman. Giò di Sera è un’artista a 360 gradi che vede in Leonardo Da Vinci il suo ispiratore e che ha scelto Berlino come sua città d’adozione dopo essere cresciuto tra i vicoli e le alterne vicende di Napoli. Giò “emigra” in Germania da ventenne, quando Napoli e la Campania sono alle prese con il dopo terremoto e i suoi tentativi di emergere e di sopravvivere all’indifferenza risultano vani. Berlino sembra accoglierlo a braccia aperte e, a cavallo della caduta del muro, riesce a trovare nel quartiere di Kreuzberg quel terreno fertile utile a farlo crescere e ad avere il riscontro che cercava. Ora è uno dei più conosciuti rappresentanti della comunità italiana nella capitale tedesca e si sta imponendo anche per il suo impegno sociale che da sempre lo contraddistingue. Lo stesso che lo ha portato a “creare” il Berlingo, divenuto famoso soprattutto attraverso il tuo programma radiofonico Radio Kanaka International, “un remix di varie lingue europee associate a un certo slang urbano inventato da Don Rispetto (il suo alter ego alla radio e in strada. nda). Un’idea che nasce nel micro/macro cosmo di Kreuzberg e cela l'evidente, forte necessità di ‘intercomunicare’ fuori dagli schemi prestabiliti della comunità internazionale e multiculturale berlinese”. La sua è una lunga carriera che lo vede, all’inizio, alle prese con la poesia e con il microfono di alcune band post-punk, ma capisce presto che l’arte che lo appassiona di più è quella della pittura, a cui si dedica passionalmente dopo il suo arrivo a Berlino. Comincia poi a fondere tra di loro le varie forme di espressione artistica presentandole in decine di mostre e diventando un punto di riferimento nella scena berlinese. Ma quello a cui tiene di più quando lo raggiungiamo telefonicamente nel suo ufficio è di raccontare il suo impegno sociale che lo vede cominciare, subito dopo la caduta del muro, progetti socioculturali come "To stay here is my right posse", contro il razzismo e il degrado nelle periferie urbane. Ora dopo più di 15 anni l’impegno suo e dei suoi collaboratori sta per essere convogliato in un nuovo progetto; StreetUnivercityBerlin, una sorta di università popolare che vuole mettere i giovani delle comunità più disagiate nella condizione di poter tirar fuori il meglio di se. Un’Università della strada, che attraverso i linguaggi e le subculture in essa presenti vuole guidare i giovani e aiutarli ad emergere. “L’appartenenza alla strada non è una cosa negativa in senso assoluto – ci dice – è importante che questi giovani sappiano farne buon uso. Quello che cerchiamo di dargli è la capacità di sfruttare le proprie potenzialità per creare una sorta di melting pot nella società e per arrivare così a soluzioni pratiche nel quotidiano”. L’obiettivo è quello di far recuperare ai cosiddetti “loser”, che si autoemarginano, il rispetto di se stessi, dandogli coscienza delle proprie possibilità. “Tutto questo – continua Giò – facendogli capire da subito che siamo indipendenti dal sistema in quello che io chiamo un ‘salutare distacco’ dall’assistenzialismo dello stato e delle istituzioni in genere, perché noi non vogliamo che questi giovani rimangano passivi, quanto piuttosto convincerli a tirare fuori la loro parte migliore, da impegnare in un progetto che vuole essere a lungo termine”. La StreetUnivercity sarà una vera e propria scuola con quattro diverse facoltà di cui due obbligatorie: “Società e informazione politica”,  perché l’intenzione è quella di avvicinare le subculture all’elite e viceversa, e “Competenze sociali e orientamento al lavoro” per aiutarli ad affrontare gli scogli del mondo del lavoro. I due corsi facoltativi saranno invece dedicati all’arte e ai media e allo sport, all’insegna del motto “mens sana in corpore sano”. L’inizio quest’estate con un “summer camp” con workshop di giornalismo e un primo centro aggregativo per cominciare a isegnare a come crearsi alternative. Da ottobre poi gli inizi dei corsi veri e propri: “per creare un nuova dimensione di aggregazione e d'identificazione e dare ai cosiddetti emarginati nuove possibilità di lavoro e di proprio sviluppo imprenditoriale e per realizzare – conclude Giò – il sogno della mia vita, che riunisce e concretizza le esperienze accumulate durante la mia carriera di artista multimediale e streetworker volontario”.lunedì, giugno 11, 2007
L'ascensore multietnico di Piazza Vittorio
Piazza Vittorio è il luogo dove negli ultimi anni la forte concentrazione di immigrati ha portato alla trasformazione di un quartiere storico della capitale. È il centro di un intreccio di razze e etnie che tutte insieme si ritrovano a condividere strade, negozi e palazzi. Ed è proprio all’interno di uno di questi palazzi che hanno luogo le vicende di “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio” (edizioni e/o, 2006), che attraverso le indagini sull’omicidio de “il gladiatore”, un losco personaggio simpatizzante dell’estrema destra, conduce il lettore attraverso le emozioni, i pensieri e le sensazioni degli immigrati che condividono proprio il palazzo in cui è avvenuto l’omicidio. Eccoci così di fronte alla donna di servizio peruviana, che ricorda alla portiera che lei non è filippina, perché viene dal Perù e dice con estrema lucidità: “So che lei è di Napoli, ma non l’ho mai offesa chiamandola La Napoletana”. O all’aiuto cuoco iraniano, che si domanda “Ma chi è italiano? Chi è nato in Italia, ha passaporto italiano, carta d’identità, conosce bene la lingua, porta un nome italiano e risiede in Italia?”. E afferma di aver “lavorato nei ristoranti di Roma con molti giovani napoletani, calabresi, sardi, siciliani”, scoprendo “che il nostro livello linguistico è quasi lo stesso”. C’è poi il proprietario del bar che ricorda come “il più grande giocatore di tutti i tempi, Paulo Roberto Falcao” era straniero, così come “Piedone, Cerezo e Voeller”, giocatori che hanno “fatto la gloria della Roma”. A cucire i pezzi e i racconti dei diversi attori, il diario di Amedeo, protagonista del romanzo (vincitore del premio Flaiano) e voce del giovane autore algerino Amara Lakhous, che questo libro lo aveva già pubblicato in patria nel 2003 con il titolo “Come farsi allattare dalla lupa senza che ti morda”. Una voce ironica ma allo stesso tempo amara, che racconta le difficoltà nel capire l’altro e nel dargli la giusta considerazione. Con lo sguardo di chi la condizione di immigrato in Italia l’ha vissuta sulla propria pelle, Lakhous cerca di far ridere, ma soprattutto di far riflettere sull’assenza di dialogo e sugli equivoci che ne derivano e per questo dice di aver voluto scegliere l’ascensore come metafora, “perché è uno spazio limitato, la gente è obbligata a condividerlo con altre persone, è un ascensore che va su e giù, potrebbe anche guastarsi ogni tanto, è un pretesto per raccontare i vari malintesi che ci sono”. Al suo interno c’è chi vorrebbe l’aria condizionata e chi no. Chi il riscaldamento. Chi la foto del Papa. È un disegno preciso per raccontare l’Italia di oggi, alle prese con la nuova realtà multietnica, di cui Piazza Vittorio continua ad essere l’esempio lampante, che ci viene egregiamente raccontata con gli occhi di uno straniero. Una buona opportunità per chi avesse l’intenzione e la fortuna di leggerlo.
martedì, giugno 05, 2007
Second Life stupisce ancora, nel “mondo parallelo” c’è spazio anche per le orge
Si potrebbe anche dire che c’era da aspettarselo: su Second Life ora si fanno le orge. La notizia l’ha rivelata Hunk Sands, “inviato” del quotidiano on line ‘Affari Italiani’ nel mondo virtuale creato dalla Linden Lab, ma per i frequentatori più assidui non rappresenterà certo un vero scoop, almeno a giudicare dal gran numero di utenti che ha incontrato il giornalista nei luoghi in cui è entrato. Si torna a parlare della comunità virtuale più famosa del mondo quindi, e questa volta perché dal racconto pubblicato in rete da Sands emerge un altro aspetto non poco interessante dell’“altro mondo”; quello delle stanze a sfondo sessuale, dove decine di avatar si incontrano in quelle che sono delle vere e proprie sedute orgiastiche con ogni tipo di rapporto sessuale. Non è la prima volta che si parla di sesso su SL naturalmente, ma se in precedenza ci si era limitati a locali di streaptease piuttosto che ad altri di lap dance, ora la nuova frontiera sembra essere diventata quella del sesso di gruppo. Le immagini riprese infatti, sono inequivocabili e illustrano possenti personaggi maschili, guarda caso tutti super dotati, e donne provocanti, in pose e scene degne delle migliori riprese da cinema porno. A giudicare dalle presenze nelle stanze un indubbio successo che mette ancora una volta in risalto i lati oscuri di un mondo “parallelo” dove si può tranquillamente dare sfogo alla propria immaginazione, rimanendo comunque celati dietro ad una maschera, quella che i residenti si cuciono addosso nel momento della registrazione e della creazione del proprio avatar. Le stanze a sfondo orgiastico della “Seconda Vita” non hanno limitazioni all’ingresso e chiunque può recarvisi senza pagare nulla e cominciare da subito ad interagire con gli altri personaggi, cercando la gloria e la soddisfazione in un appagante orgasmo virtuale. Una volta entrati si apre la caccia e, con gli attributi riproduttivi sempre in bella evidenza, si cercherà di riuscire a convincere la (o il) partner prescelto a lasciarsi andare in effusioni reciproche. Ora è lecito chiedersi cosa è che spinge a cercare questo tipo di soddisfazione attraverso un’immagine in 3d e, soprattutto, quanto e come essa venga ritrasmessa sensorialmente nella realtà, ma forse tutto può essere semplicemente riportato all’interno di un ranch di discorsi sul bisogno (questa volta reale) di relazionarsi con gli altri attraverso le diverse forme offerte dai mezzi che si usano; e se è vero che su Second Life stazionano ormai qualcosa come sei milioni di utenti, che continuano a crescere esponenzialmente negli ultimi mesi, non c’è certo da stupirsi così tanto che il fattore sessuale incida molto sulle abitudini dei residenti. Del resto internet rimane comunque un mezzo usato non poco per la ricerca e il download di immagini porno e non pochi sono i personaggi che hanno dichiarato di soffrire di una sorta di porno-dipendenza legata alla rete; se si considera anche che su Second Life esiste il non trascurabile fattore ludico e quello non meno importante dell’anonimato, allora il dado è tratto. Il rischio più preoccupante sembra comunque essere quello di una deriva a cui un mezzo innovativo, e a modo suo rivoluzionario, come Second Life può andare incontro; sempre più utenti infatti, continuano a lamentarsi dell’uso non sempre corretto da parte dei residenti e anche le polizie di alcuni paesi stanno cominciando ad indagare su alcuni comportamenti che potrebbero essere ritenuti penalmente rilevanti. Una deriva che segnerebbe la fine di una piattaforma che a gran voce è stata definita come l’esempio riuscito e concreto della realtà virtuale.mercoledì, maggio 09, 2007
Le nuove Lolite, sul cubo a 12 anni.
“Se fai la cubista sei una donna. Con i clienti della disco treschi soltanto se ti va. Puoi farti pagare se vuoi. Così ti diverti e ci guadagni! È come se fossi già grande, come se avessi un lavoro”. Chi parla è una principessa molto particolare; una principessa perché così la chiamano i suoi genitori separati, da cui probabilmente vorrebbe più attenzione. Lei, l’appellativo con cui la chiamano in casa se lo porta dietro quando va in discoteca, e poco importa se ha solo 12 anni; quando è sul cubo e sotto di lei i ragazzi la guardano vogliosi, sembra proprio che l’età non conti. Quella di “principessa” è una delle cinque storie raccontate da Marida Lombardo Pijola nel suo "Ho 12 anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa. Storie di bulli, lolite e altri bimbi" appena pubblicato da Bompiani; un viaggio e un’indagine che la giornalista del Messaggero ha svolto nel mondo dei ragazzi tra gli 11 e i 14 anni, leggendo i loro blog, frequentando le loro scuole ed entrando anche nelle loro discoteche (spacciandosi per una mamma alla ricerca di sua figlia e minacciando di rivolgersi alle autorità quando gli hanno detto “i grandi non possono entrare”). Quella che ne esce fuori è una realtà per certi aspetti sorprendente quando non scioccante (Una bambina racconta di essere rimasta incinta e di aver abortito a 12 anni), che stupisce soprattutto  per la normalità con cui le ragazzine parlano delle loro esperienze da donne vissute. Le stesse ragazzine che di mattina frequentano le medie e che al pomeriggio si trasformano varcando la soglia della discoteca; al posto dei libri l’olio per ungere il corpo, al posto di jeans e golfino, perizoma e, quando proprio non se ne può fare a meno, reggiseno, un piercing e qualche tatuaggio e il gioco è fatto, si sale sul cubo e si mimano i coiti con il palo per la lap dance, tanto è facile imparare a ballare “perché basta che accendi la Tv”. L’indagine della Pijola mette in risalto un mondo che i genitori non sembrano in grado di capire e che i media non hanno ancora captato; entrare nelle stanze dei propri figli è sempre più un tabù, ed è lì, nell’alcova di una cameretta che le ragazzine iniziano le loro esperienze nel “mondo dei grandi”, magari solo raccontando le proprie storie su un blog, ma magari anche vendendo i propri spogliarelli davanti alle web cam per pochi euro. I loro modelli sono quelli della società dello spettacolo, dove l’immagine viene prima di ogni cosa, e sono incarnati da Britney Spears e Paris Hilton. Va da sé allora, che per sentirsi come loro non basta solo essere riprese dai cellulari dei ragazzi, ma c’è bisogno di cose più “trasgressive”, come i rapporti sessuali a pagamento con ragazzi rigorosamente più grandi e magari sotto l’effetto di qualche sostanza stupefacente. È una nuova generazione quella inquadrata dalla Pijola, una generazione nata da un paio di anni a questa parte, che sta crescendo troppo in fretta e con il rischio concreto di rimanere presto bruciata sulla strada che porta al ‘sogno’ della notorietà.giovedì, maggio 03, 2007
Quei volumi in cerca di un tetto
mercoledì, maggio 02, 2007
La Chiesa se la prende con il nuovo "Pasquino"
mercoledì, aprile 25, 2007
“Predatori notturni”, rivive la strage di Ustica
Sono passati quasi trent’anni, ma i misteri e i lati oscuri che circondano le vicende della strage di Ustica sono ancora presenti nella mente degli italiani. Era il 27 giugno 1980 quando il DC-9 del volo dell’Itavia da Bologna a Palermo precipitò in mare causando la morte di 81 persone. Una vicenda oscura e segnata da intrighi internazionali, che al pari di altri tristi avvenimenti hanno segnato la storia del nostro paese nei decenni più tribolati della democrazia italiana. Oggi queste vicende tornano a vivere nel thriller del momento, scritto dal produttore Usa Joseph Farrel, che in “Predatori notturni” intreccia realtà e finzione per raccontare anche il dopo strage e, con una scrittura quasi cinematografica, dà nuova linfa ad un dibattito che si prolunga da decenni e a cui nemmeno i giudici dei tribunali che si sono occupati del caso hanno saputo dare una soluzione definitiva. Lo scrittore, autore soprattutto di molte sceneggiature tra cui “War games: giochi di guerra” e produttore di numerosi film, oltre che personaggio influente di Hollywood, dove le sue consulenze sono preziose per le più note major, incentra la storia sulla figura dell’armatore anconetano Aldo Davanzali, proprietario del DC9 morto nel 2005 a 83 anni, che nella realtà si è battuto con tutte le sue forze contro l’accusa di cedimento strutturale; quell’accusa che comportò lo sgretolamento del suo impero economico (ancora oggi in sede civile pende una sua richiesta di risarcimento dallo Stato per 850 milioni di euro) nel tentativo di far emergere la verità: attentato o abbattimento fortuito durante esercitazioni militari che sia. In “Predatori notturni” invece, il proprietario della compagnia aerea si toglie la vita poco dopo l’incidente, e sarà la figlia, testimone del gesto del padre, a voler compiere tutte le indagini affinché si riesca a dimostrare che nessun guasto meccanico avrebbe mai potuto causare l’esplosione dell’aereo. Sembra che anche il libro comunque, stia portando con se strascichi polemici, ad ennesima dimostrazione di come attorno alla vicenda di Ustica aleggi un alone di mistero invalicabile; Farrel infatti, partecipando alla serata romana di presentazione del libro, ha dichiarato di essersi cominciato ad interessare al caso dopo aver avuto diversi contatti proprio con Davanzali, conosciuto grazie a sua moglie, l’attrice italiana Jo Campa. Di questi contatti non ci sarebbe però traccia tanto che le figlie e uniche eredi di Davanzali, Luisa e Tiziana, e l'avv. Mario Scaloni, legale di famiglia, hanno diffuso una nota congiunta per prendere le distanze dall'operazione editoriale. Le figlie di Davanzali, dice la nota, «non sono state per nulla interpellate in merito al romanzo, né hanno concesso alcuna autorizzazione alla pubblicazione del libro, avendone sorprendentemente appresa notizia solo dalla stampa. Neanche l'avv. Davanzali, quando era ancora in vita, ha mai accennato loro di contatti con l'autore del romanzo». L’autore ha tenuto comunque a precisare che gli avvenimenti raccontati sono frutto della sua fantasia anche se poi sono tutti i dettagli originali a dare il via allo sviluppo di un intrigo che già nella realtà ha abbondantemente dimostrato di essere adattabile al genere fanta-thriller. La protagonista è Teresa, figlia del proprietario della compagnia aerea Aero-Italia di cui faceva parte nel romanzo l’aereo abbattuto. Dopo averlo visto suicidarsi la giovane decide che diventata adulta avrebbe riabilitato ad ogni costo la memoria del padre. Comincia così le sue indagini facendosi aiutare da Robert Evans, giornalista del Washington Post, l’unica persona che aveva mostrato dubbi sulla sentenza, e i due correranno più volte il rischio di perdere la vita a causa di attentati contro di loro fino ad arrivare all’immancabile finale a sorpresa, quello che ancora oggi manca, purtroppo, nella realtà.mercoledì, aprile 18, 2007
Lavorare diverntedosi? Con i videogame si può
martedì, aprile 10, 2007
I falsi miti della medicina
C’è chi al primo piccolo sintomo di un qualsiasi tipo di dolore sente la necessità di ingurgitare una pillola o uno sciroppo o, meglio di no ma in alcuni casi ci vuole, una supposta, convinto che qualsiasi malessere, sia esso mentale o fisico, possa essere curato solo attraverso i medicinali e c’è anche chi alla medicina tradizionale cerca alternative di diverso genere, come le terapie a base di erbe, l’agopuntura o altro. Tutti comunque alla ricerca di un sollievo al dolore attraverso terapie più o meno consone. Ma c’è anche chi oggi, dall’alto della propria esperienza di studioso di biologia e biochimica, e con alle spalle una carriera da giornalista in riviste scientifiche come “Stern” o “Die Zeit” ha iniziato una campagna di controinformazione verso l’attuale sistema di cure terapeutiche. Parliamo di Jorg Blech, oggi giornalista di “Der Spiegel” che ha da poco dato alle stampe, per i tipi di Lindau, “La medicina che non guarisce – Come difendersi da terapie inutili e nocive”, un libro che arriva dopo il suo best seller “Gli inventori delle malattie” e che ne rappresenta il seguito naturale. L’attacco di Blech è una tesi ragionata e approfondita su quanto in realtà molte delle attuali risorse terapeutiche si rivelino del tutto inefficaci, se non dannose, e paiono il risultato di errori, false conclusioni e interessi economici. La controprova? Per Blech è tanto facile quanto scontata: basti pensare che “quando i medici diventano pazienti, essi si sottopongono alle cure che consigliano ai loro assistiti solo raramente, perchè sanno benissimo quali tra esse siano davvero necessarie o utili”. Non tutta la medicina è da mettere al bando naturalmente, su questo l’autore è ben consapevole, e l’attacco, scritto con ritmo incalzante e piglio giornalistico, è mirato verso quei miti diffusi nella scienza di Ippocrate, che spesse volte nascondono solo i grandi interessi delle case farmaceutiche, di cliniche e specialisti. Quello che dovrebbero fare i pazienti per non cadere nelle mani delle terapie inutili e nocive è, per Blech, molto facile; la causa di tutto ciò è “la comoda disinformazione dei pazienti” e in questa situazione “sapere rappresenta un presupposto fondamentale per determinare un salto di qualità nella medicina moderna”. È l’ultimo capitolo del libro, quello in cui vengono stilate le sette semplici regole  per destreggiarsi fra le terapie inutili e le domande-chiave da rivolgere al medico qualora questi gli suggerisse un intervento. É solo così, diventando dei “consumatori” ben informati anche nell’ambito della sanità, che si può evitare il rischio di imbattersi in prassi mediche normalmente accettate, ma che nascondono rischi e pericoli in grado di danneggiargi. Una tesi riconosciuta anche da “Ciò che i dottori non dicono” di Macro edizioni, che mette in primo piano anch’esso i rischi e si ripromette di svelare la verità sui pericoli della medicina moderna, o da “Come impedire al vostro medico di nuocervi” in cui l’autore, Vernon Coleman, basandosi su dati scientifici acquisiti nelle sue ricerche sferra un duro attacco alla figura del medico, considerata come quella in grado di fare più male ad una persona. Ma forse il problema non è solo legato alla classe medica e ci sarebbe da riflettere, come hanno fatto quelli di Nuovi Mondi Media con “Farmaci che ammalano”, sulla frase pronunciata tre decenni fa da Henry Gadsen, direttore generale di una delle principali case farmaceutiche al mondo, la Merck  Il suo sogno? Quello di riuscire a creare farmaci per le persone sane, così da poter vendere proprio a tutti. Oggi questo sogno sembra essere diventato realtà e rappresenta il punto di forza di un mercato che risulta essere tra i più redditizzi al mondo.lunedì, aprile 09, 2007
Retrogaming, ritorno al fututo
sabato, aprile 07, 2007
Malatempora, la forza di andare controcorrente
A definire la Malatempora solo come una casa editrice si può correre il rischio di essere riduttivi. Certo, materialmente è un’impresa che produce libri, ma tale impresa è vissuta con uno spirito e, soprattutto, con una circolarità di idee che rimangono molto lontano da quello che è oggi il mondo dell’editoria italiana. “Alla Malatempora non si vendono libri, ma si pubblicano idee”; è quello che mi sentii dire in uno dei miei primi giorni a fianco di Angelo Quattrocchi, l’anima di una realtà editoriale che, nonostante le difficoltà e i paletti imposti da quello strano marchingegno che risponde al nome di “distribuzione”, può vantare all’attivo più di cento titoli in catalogo e una prospettiva per il 2007 di 25 nuove uscite. Potrebbero sembrare numeri risicati, ma solo per chi non conosce a fondo un mercato che sta tendando in tutti i modi di tagliare fuori dalle librerie i piccoli editori per lasciare così spazio sugli scaffali alla produzione dei grandi gruppi. A questo si aggiunga anche il fatto che la Malatempora non le ha mai mandate a dire e che i suoi titoli hanno spesso subito, e subiscono ancora, una quasi totale censura da parte dei media, preoccupati di doversi trovare ad analizzare temi “scottanti” che il più delle volte preferiscono nascondere, e il quadro è completo. A queste problematiche  i tipi di Malatempora stanno reagendo con il rafforzamento della politica delle vendite on-line (è possibile acquistare i loro libri dal sito www.malatempora.com con sconto del 20% e spedizione gratuita). Il collettivo alla base della casa editrice non si arrende e continua a pubblicare titoli che qualsiasi altro editore avrebbe paura solo a leggerli; come “Uranio impoverito” del 2006, il libro intervista all’ammiraglio Falco Accame, che da sempre denuncia i danni dell’agghiacciante arma sui civili e sui nostri militari, o come la terribile storia di Francesca B., nome in incognito dell’autrice di “Plagio”, uno degli ultimi usciti, la vera storia di un plagio mentale perpetrato ai danni di un uomo che ha sconvolto la sua vita e quella della sua famiglia. E per il futuro un titolo che vuole smuovere ancor di più le coscenze, un libro che uscirà in concomitanza con il family day: “no no no Ratzy non è gay”, che in quarta di copertina recita: “Nei palazzi romani lo sussurrano, e nei ristoranti, nelle discoteche, nei bar, tra un Campari e un tramezzino lo raccontano. Sarà vero? No, non è possibile! Eppure, quei cappellini così carini, quelle scarpette rosse di Prada… e quel segretario così bello, alto, biondo e tanto ariano… No, non può essere vero. In fondo ce l’ha tanto con quelli lì! No, no, no, il Papa non è gay!”, e non credo ci sia da aggiungere altro… Per quanto riguarda il presente invece, è disponibile da qualche settimana “Ultimi fuochi”. Un libro che il sottoscritto ha visto passare sotto le proprie mani più di una volta nella sua, per così dire, “fase embrionale”. Una fase embrionale che in realtà dura da tren’anni perché l’ultimo nato in casa Malatempora è un testo scritto dallo stesso Quattrocchi negli anni ’70 e che è rispuntato fuori oggi, rieditato e pubblicato nel trentennale del ’77. “Ultimi fuochi” arriva da lì, da quegli anni che oggi più che mai stanno tornando sulle pagine dei giornali. Un libro per descrivere, con lo stratagemma del thriller fanta politico, il finale della ribellione che fini nella tragedia dell’ammazzamento di Moro. Un libro da leggere proprio perché non è un libro sugli anni ’70, ma un libro degli anni ’70, scritto allora da uno dei protagonisti storici del movimento, di quelli che non scelsero la strada della violenza, bensì quella della creatività.