venerdì, marzo 23, 2007

Playlist, fenomeno di tendenza dettato dall’audiradio

Una volta c’era il flusso creativo, quello immortalato in “Lavorare con lentezza”, il film di Guido Chiesa dedicato agli anni della bolognese Radio Alice, la più rappresentativa delle radio libere dagli anni ’70. Quel flusso creativo, tanto caro ai protagonisti dell’epoca, è andato via via scomparendo e quello che ne rimane oggi sono le cosiddette playlist, la lista delle canzoni in programmazione, sempre più omologate all’interno del sistema delle radio commerciali. Basta girare per i siti internet delle più famose radio del momento per rendersi conto di quanto la scelta delle canzoni sia ormai così poco fantasiosa da far pensare ad una oscura regia che dall’alto manovra le scelte di dj e conduttori di programmi radiofonici. Una vera e propria “lobotomia radiofonica” come la definisce Alfredo d’Agnese, giornalista di settore, che ci spiega come dalla fine degli anni ’80, il sistema della “heavy rotation” abbia comportato una omologazione totale dei pezzi che si ascoltano sulle diverse radio commerciali; un sistema che “costringe” il pubblico ad ascoltare un pezzo a distanza ravvicinata per tutta la giornata. Una sorta di pubblicità tamburellante per far breccia nel cuore e nella mente degli ascoltatori. “Una volta scelto di passare al modello di network radiofonico – continua d’Agnese – le radio hanno dovuto seguire delle regole di marketing ben precise, le playlist ormai sono bloccate e sono pochissimi i casi in cui si può ancora parlare di scelte che sono frutto di un talento creativo o della spontanea volontà del conduttore di un programma. Persino nel programma Terzo Anello di Radio3 ormai, c’è un cervellone elettronico che decide quali canzoni inserire nella programmazione”. Quello della scelta della programmazione sembra quindi essere diventato più un fenomeno di moda e di tendenza che altro, basti pensare al libro pubblicato recentemente da Luca Sofri intitolato proprio “playlist”, ma come ci spiega ancora d’Agnese “negli anni ’70 era il contrario e erano le stesse radio a lanciare le tendenze musicali, come faceva la BBC con l’indimenticabile John Peel che presentava al pubblico le nuove band della musica internazionale ancora sconosciute al grande pubblico”. E se cerchiamo di scoprire come è avvenuto questo cambiamento ci rendiamo conto che in fondo il mondo della radio non sfugge alle regole del mercato così come gli altri media; “direi che ormai i grandi numeri della radio non permettono più la libertà di scelta ai dj: gli sponsor e le case discografiche oggigiorno contano molto di più dei conduttori, non parlerei di pressione sulle scelte ma di una vera e propria dittatura che viene esercitata attraverso l’audiradio. In fondo è un po’ quello che succede in televisione: se gli ascolti salgono arrivano le collaborazioni con le case discografiche e di conseguenza anche gli sponsor”, una legge di mercato che purtroppo mal si addice con le scelte qualitative della programmazione e più in generale con una pluralità di proposte musicale che manca, con rare eccezioni, in tutte le grandi radio commerciali.

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