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martedì, giugno 21, 2011

Il giornalismo informatico ai tempi di Brunetta

Qualche giorno fa l’aitante ministro Brunetta disquisiva davanti a una telecamera sui giornali informatici in cui lavorano centinaia di precari sfruttati della becera e ipocrita sinistra. Il ministro si era forse dimenticato però, dannata memoria, di un altro giornale online, finanziato dalla sua fondazione e affidato a un’agenzia di comunicazione che cura la sua immagine anche su facebook e che stipendia una persona addetta a cancellare gli insulti che gli vengono rivolti ogni volta che lui se la prende con il mondo intero.

Io in quella agenzia c’ho lavorato. Ho cominciato il mio rapporto con loro mercoledì 8 giugno e sono stato licenziato ieri, lunedì 20 giugno. Escludendo quella volta di qualche anno fa in cui andai a fare volantinaggio e smisi dopo due giorni per una sorta di gotta ai piedi, posso dire con certezza che sia stata l’esperienza lavorativa più breve della mia vita.

Ora, c’è da dire che là dentro mi stavo facendo un fegato grosso così a sopportare le linee editoriali dettate dai diversi clienti a cui si doveva far dei piaceri evitando di dare notizie scomode, ma il lavoro è lavoro e allora si andava avanti cercando di ottemperare le richieste di un silenziosissimo “direttore senza direzione” e degli altri “redattori senza redazionali” con più esperienza alle spalle.

E il fegato grosso così mi si è fatto anche nel sentirmi dire che per fare una notizia sui loro siti basta cambiare il titolo, l’attacco del pezzo e poi fare comodamente copia e incolla dalla fonte originaria (“Soprattutto da Dagospia che quelli non sono indicizzati dai motori di ricerca!!!”). Poi fa niente se il motivo per sbatterti fuori è che hai fatto copia e incolla per inserire 100 articoli in due giorni su un sito che doveva vedere la luce il giorno dopo. Loro queste cose non le fanno: “Te le sei sognate e noi siamo un’azienda seria”.

E vada pure questa, vada che hai dovuto recensire biografie di politici mafiosi senza manco (fortunatamente) aver letto il libro, vada che sei stato tacciato di essere l’unico elemento polemico della redazione solo perché hai chiesto informazioni sulla linea editoriale del giornale dopo esserti preso un rimprovero a 200 decibel, vada che gli hai dedicato anche un’intera domenica ad assecondare i deliri leghisti e che non hai potuto pubblicare la foto di quando la Polverini imboccava Bossi.

Vada via tutto! Che quello che rimane, per l’ennesima volta, è il senso di smarrimento per un settore troppo precario, in cui l’informazione si misura in accessi (e allora va bene anche metter due seni in bella mostra per far salire lo “share”) senza preoccuparsi né della qualità né dell’aspetto di quello che si pubblica, in cui se non sei uniformato alla linea di pensiero del cliente sei polemico e in cui c’è sempre una lettera di licenziamento, quando sei fortunato a firmare un contratto, pronta dentro il cassetto del capo dei capi…

Pubblicato originariamente sul blog dei Refusi.

martedì, febbraio 01, 2011

La bella televisione

In un palinsesto televisivo colmo ormai fino all’osso di nani, ballerine e puttane che sbraitano, si insultano e si mandano all’altro paese vicendevolmente e con assoluta nonchalance, è tornato finalmente a regalarci una boccata d’aria Presadiretta, il programma in onda la domenica sera su rai Tre. Diretta pregevolmente da Riccardo Iacona, la trasmissione si presenta mostrando ogni volta quanto un modo diverso di intendere il mezzo televisivo e il mestiere del giornalista sia non solo necessario, ma anche possibile. Il suo programma è ogni volta un pugno allo stomaco e, allo stesso tempo, una sveglia quanto mai salutare per destarsi dal grigiore politico e mediatico in cui questo Paese è sprofondato. Una trasmissione che indaga, documenta e fa domande molte volte scomode a chi è ormai abituato a interviste con tappeti rossi stesi ai propri piedi. Nessun politico di turno in studio a urlare, nessun presidente del Consiglio a telefonare da casa. Solo i fatti, nudi e crudi, come non si vede più da troppo tempo. Aggiungeteci poi una redazione e un gruppo di lavoro indomabili, storie troppe volte dimenticate dal mainstream e il mix è più che riuscitissimo. Domenica il primo appuntamento della nuova serie lunga otto puntate è stato dedicato ad Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica morto ammazzato cinque mesi fa in circostanze ancora da chiarire; una scelta coraggiosa, come sempre, che ha dato a Iacona il giusto pretesto per ritornare su temi che la stessa trasmissione aveva trattato prima della pausa. Così la 'ndrangheta, e i suoi rapporti con la politica, sono tornati a occupare la prima fascia serale mostrando un Paese altro, molto distante come sempre dai problemi di “attualità” e lontano dalla politica dei palazzi romani dove si scelgono le candidature e le carriere. È proprio questo il punto più forte della trasmissione: Iacona e la sua troupe “vivono” e mostrano il “territorio Italia” come nessun’altro è capace di fare, e se ogni volta non ci resta che stupirci, allora scusate ma è proprio vero che siamo stati abituati troppo male. Chapeau.

mercoledì, ottobre 14, 2009

Trentamila

Io non avevo fatto niente di male, lo giuro. Ero lì, un po’ ansioso sì, ma in fondo mi stavo solo preoccupando di trovare una nuova macchina per il caffè, di quelle che ne esce fuori solo una tazzina. Poi sono arrivati loro. E sì che forse c’ho messo un po’ a decidermi, ma non mi sarei mai aspettato di ricevere un trattamento così meschino, doloroso terrificante. Erano in quattro, sono arrivati fuori casa e hanno parcheggiato la loro Ford Falcon, di quelle in dotazione all’esercito, con calma, senza preoccuparsi né dei passanti che li avrebbero potuti riconoscere, né dei miei genitori che stavano appena uscendo di casa. Alla porta non hanno bussato nemmeno, io ho sentito solo lo scricchiolare debole delle assi che si rompevano. Poi, dal momento in cui gli ho confermato il mio nome, ricordo solo il cappuccio in testa e quel colpo secco dietro alla nuca, forse col calcio della pistola, forse con il retro del manganello. Di certo c’è solo che da quel momento è cominciato l’inferno…
Potrebbe essere questo l’inizio di un racconto comune a uno qualunque dei trentamila desaparecidos argentini, uomini e donne vittime del sistema di repressione attuato dalla dittatura dal 1976 al 1983. Un sistema brutale, indegno e terrificante pronto a reprimere nel terrore qualsiasi segno di appartenenza a gruppi o movimenti contrari al colpo si stato dei generali. Di più, un sistema studiato a tavolino per eliminare le tracce e le prove degli ostaggi sia sulle carte della polizia legale sia materialmente, arrivando a far scomparire i corpi attraverso i tristemente noti “voli della morte”, con cui i militari si sbarazzavano delle prove buttando i corpi dei sopravvissuti alle vessazioni e alle torture direttamente nell’oceano.
Per arrivare alla verità sulla tragedia dei desaparecidos molto è stato fatto da parte delle associazioni che riunivano i figli, le madri e le nonne degli “N.N.”, come venivano classificati una volta uccisi, ma le varie amnistie concesse dai governi “democratici” arrivati dopo la dittatura hanno contribuito a rendere impunibili diversi personaggi colpevoli della strage mentre ancora oggi, i figli, le madri e le nonne di Plaza de Mayo continuano imperterriti la loro battaglia per rintracciare corpi e storie di persone scomparse nel nulla.
A far rivivere le storie e le vite dei desaparecidos contribuisce in qualche modo anche una vasta produzione artistica sull’argomento. Io mi ci sono imbattuto quasi per caso e, vuoi per le coincidenze di trovare, nello stesso periodo, libri usati a ottimo prezzo, fumetti appena usciti per la tua casa editrice, vuoi per una connessione a internet che ti consente di scaricare quel film che volevi vedere da un po’ o per un altro film che avevo visto tempo fa, le ultime settimane me le sono passate in una completa immersione nell’Argentina di quegli anni.
Grazie a due film del regista Marco Bechis innanzitutto: Hijos (2001) e Garage Olimpo (1999), in cui il regista italo-cileno, che ha vissuto sulla propria pelle la ritorsione della dittatura con l’espulsione dall’Argentina nel 1977, racconta il dramma da due diverse ottiche; in Hijos è quella di una ragazza che arriva in Italia da Buenos Aires per ricongiungersi al fratello sottratto alla famiglia in uno dei campi di concentramento del regime e venduto a una coppia “per bene” e in Garage Olimpo, per certi versi più drammatico e sconvolgente, quella dell’interno di una delle basi dell’esercito, il garage Olimpo per l’appunto, in cui i desaparecidos venivano portati per essere torturati in maniera atroce prima di essere “trasferiti” sugli aerei della morte. Storie che grazie al video rendono bene l’idea dell’angoscia e della disperazione di quegli anni; un’angoscia e una disperazione che Massimo Carlotto invece, è stato in grado di trasmettere anche sulle pagine stampate del suo libro Le irregolari. Buenos Aires Horror Tour, edito dalla E/o. Un viaggio tra i racconti delle vite e dei sequestri di decine di desaparecidos elencate all’autore dall’autista di un bus che lo accompagna di notte tra le strade e i luoghi di una Buenos Aires “infinita”. Carlotto ascolta, sente sulla propria pelle il dolore delle vittime e lo racconta in maniera esemplare, rimanendo poi così coinvolto da impegnarsi al fianco delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, le nonne battagliere decise a far conoscere la verità sugli scomparsi guidate da un’altra Carlotto; quella Estella che da anni gira il mondo incontrando le personalità e i capi di governo più rappresentativi al fine di raggiungere equi processi in tutti i Paesi, che siano stati essi vittime o complici del sistema argentino. Ultima arte ad avvicinarsi al tema in questo periodo il fumetto, con L’eredità del colonnello di Carlos Trillo e Lucas Varela, appena tradotto e uscito in Italia per Coniglio Editore. Storia per forza di cose scura anche questa, con personaggi “sporchi” e figure tetre che si rincorrono nei ricordi del figlio di un colonnello torturatore del regime scritta da uno dei personaggi che hanno fatto la storia del fumetto sudamericano. Suoni e visioni da un mondo orribile che nelle pagine disegnate trovano una strada nuova per raccontare l’orrore.

Tanta carne sul fuoco dunque, da studiare e da approfondire, ma che forse non sarai mai abbastanza per una pagina così scura del ventesimo secolo, una pagina che a inventarla per un film, un libro o un fumetto avrebbero probabilmente fatto meno fatica…

In ascolto: Desaparecidos - Manu Chao

mercoledì, febbraio 04, 2009

Dalle città...

Rispondo al telefono cercando di somministrarmi dosi massicce di endorfina autoprodotta, il mio nuovo Mac è fermo in un deposito di Eindhoven e Roma si mostra scontrosa, antipatica quasi ostile con il suo cielo grigiastro e una pioggia costante e infinita che sembra di stare a Londra…
Intanto per le città gira un po’ di tutto: Udine sta per diventare lo scenario di un cambiamento epocale nel nostro modo di raffrontarci con la morte e, forse, anche con la Chiesa Cattolica; a Nettuno le politiche demagogiche dei nostri governanti hanno cominciato a dare risultati vergognosi; Milano e il suo stadio hanno cacciato a forza di fischi un calciatore pagato uno sproposito e dal soprannome improbabile e a Sanremo comincia ad averci un senso anche la partecipazione degli Afterhours.
Dalle mie parti invece, in questi giorni ha girovagato Dominic Molise che, sconfessando il suo alter ego Bandini, ha deciso di restare a Roper, Colorado, invece di seguire i suoi fantastici sogni di gloria e raggiungere la California… Quel diavolo di John Fante, insomma, ha colpito ancora, ma ora scusate vado troppo di fretta: devo raggiungere Hemingway a Pamplona per la festa di San Firmino…


In ascolto: Piromani - Le luci della centrale elettrica

sabato, dicembre 06, 2008

Autunno inoltrato...

Pinco Pallino ti ha iscritto alla sua lista di amici: Accetti o rifiuti?
Gaia vive una situazione sentimentale complicata
Johnny ora è single e implora che qualcuna e/o qualcuno si faccia avanti
Floriana si è iscritta al gruppo "chi non salta non arriva a domani"
Ingrid ti ha invitato all'evento "giornata mondiale dell'orgasmo contro la NATO"
Corrado ti ha taggato in una foto, sei quello che sta vomitando dietro la colonna
La tua ex si è appena iscritta... vuoi vedere con chi e come si diverte adesso?
Che poesia! Per fortuna ieri qualcuno si è accorto che piovevano foglie...
In ascolto: Lu cardillo - 24 grana

sabato, gennaio 12, 2008

“Off”: Libertà di stampa? No, precariato

Meno di un anno di vita, ma fucina di lavoro precario per i giornalisti, rimasti senza lavoro e senza stipendi. Ecco la storia di Off – Quotidiano di spettacolo di Roma

L'esperienza di “Off – quotidiano di spettacolo” nasce nella capitale negli ultimi giorni di dicembre 2006. Il giornale, espressione della scena artistica e culturale romana e non solo, inizia a uscire in edicola al mattino e in distribuzione gratuita al pomeriggio riscuotendo subito l'interesse di un pubblico attento e curioso.

La redazione, composta da giovani redattori e da qualche “firma” esterna, lavora sin da subito con un buono spirito di iniziativa e segue diligentemente le direttive del direttore Giulio Gargia e dell'editore Leonardo Giuliano.

Le prime settimane scorrono velocemente e non mancano lodi e complimenti provenienti dal pubblico dei lettori e dal mondo degli addetti ai lavori verso un giornale che riesce a osservare la scena del mondo dello spettacolo con un taglio diverso dai soliti giornali e dando spazio a quelle realtà alternative che difficilmente riescono ad avere visibilità sui grandi quotidiani.

Ai successi riscossi dalla linea editoriale però, cominciano presto a fare da contraltare i primi problemi relativi ai compensi verso chi lavora alla realizzazione del progetto. Dopo il primo stipendio pagato regolarmente, infatti, l'editore comincia a retribuire i redattori con sempre minore regolarità: prima “pagando a rate” con cento euro elargiti settimanalmente e poi cominciando a ritardare del tutto i pagamenti, facendo così aumentare il credito vantato dai redattori.

Alle richieste di chiarimento sulla situazione economica della testata e sui pagamenti degli stipendi, sia l'editore che il direttore rispondono con toni rassicuranti, citando l'esistenza di alcuni contributi di varia provenienza, che da lì a poco sarebbero arrivati e che avrebbero così contribuito a regolarizzare gli stipendi arretrati.

Il giornale continua comunque a uscire regolarmente grazie al lavoro quotidiano dei redattori che si adoperano anche alla realizzazione di un evento per festeggiare l'uscita del centesimo numero del quotidiano. L'evento riscuote una buona partecipazione, ma non è che una falsa vanità; il numero 101 infatti vedrà la luce dopo una lunga pausa imposta al giornale a causa dei debiti raggiunti con lo stampatore.

A quel punto sembra chiara ai redattori l'impossibilità di veder corrisposti i propri stipendi, nonostante editore e direttore continuino a rassicurarli. A fine maggio 2007 il giornale riparte, dopo i tagli alla distribuzione e all'ufficio commerciale, con la solita promessa dei già citati contributi e con un pagamento di uno stipendio regolare a tutti i redattori rimasti.

Nella stessa situazione dei giornalisti si trovano ovviamente anche i due grafici che lavorano all'impaginazione di Off.

Il giornale ritorna in edicola – ma senza distribuzione pomeridiana – con l'ambizioso progetto Off 2.0, che vuole mettere in primo piano la partecipazione dei lettori alla creazione di notizie e portare l'attenzione sulle nuove dinamiche collaborative tipiche del web già da alcuni anni e sulle nuove forme di licenze (copyleft e affini). Ma idee confuse riguardo a ciò che realmente si muove in rete e a quali sono le dinamiche che lo animano da una parte, e dall'altra la mancanza di risorse (ad esempio per la realizzazione di un sito web che permetta l'interazione dei lettori), fanno sì che questa versione 2.0 del quotidiano non decolli mai.

Nel frattempo, tagliate le collaborazioni esterne, tutti i contenuti del giornali sono in carico ai quattro redattori. A metà luglio il giornale si ferma per una lunga pausa estiva, che dovrebbe essere interrotta in occasione della Mostra del cinema di Venezia con uno speciale distribuito su Roma e Venezia per cui viene fatta una promozione tale per cui Off riesce a ottenere addirittura 11 accrediti stampa. Ma ovviamente i soldi per andare a Venezia non ci sono e non ci sono nemmeno per stampare il giornale sulla capitale.

Dopo la pausa estiva, Off non torna più in edicola, i redattori si trovano senza lavoro e con pagamenti arretrati per due o tre mesi che ancora non arrivano, nonostante le sollecitazioni all'editore e al direttore.

Inutile sottolineare la situazione dell'inquadramento contrattuale di chi lavorava in redazione: se due redattori avevano un contratto non legato però all'attività da loro realmente svolta (cioè attività redazionale vera e propria) per i due giornalisti pubblicisti iscritti all'ordine non c'era nessun contratto, ma accordi verbali più volte disattesi nel corso del tempo.

Come ex-redattori di Off abbiamo aspettato per raccontare la storia del giornale nella speranza che la situazione venisse risolta. Purtroppo così non è stato, al momento è in corso anche una indiagine dell'INPGI (per il mancato versamento dei contributi) e noi vogliamo rendere pubblica la vicenda perché anche chi non ha seguito la storia del giornale oppure chi ne ha apprezzato la qualità sappia come effettivamente sono andate le cose in redazione.

Non solo, vuole essere anche un segnale per tutti coloro che si occupano di tutelare i giornalisti nel loro lavoro, per sottolineare ancora una volta che questa, purtroppo, è ormai la prassi per il mondo del giornalismo di casa nostra a cui, in questo modo, non è consentito sviluppare quel livello di indipendenza e possibilità professionali che lo rendano degno di essere chiamato davvero con il nome di giornalismo.

Invitiamo qualunque persona che dia ancora valore a termini come deontologia professionale, colleghi e non, e che ritenga il settore dell'informazione il terreno fondamentale in cui la verità e la menzogna si sfidano, in cui le necessità umane possano rivalersi su quelle delle merci, in cui poter costruire un altro mondo possibile, a prendere atto che bisogna spendersi in ogni modo per arrestare il trend che fa dell'informazione un business, per il bene di una categoria di lavoratori, i giornalisti, e per il bene pubblico della società intera. Ne è prova che anche l'ultimo giornale, che pretende di essere di sinistra e indipendente, non si fa il minimo scrupolo a diventare una fucina di lavoro precario e mancato rispetto dei diritti. Fermiamo l'idea dell'informazione come business, ci stiamo giocando la libertà e la dignità di fare questo mestiere.

Gli ex-redattori di Off - Quotidiano di spettacolo

Dini Casali Roberto Laghi Gianluca Salustri Dimitri Sassone

mercoledì, ottobre 31, 2007

Alla cortese attenzione dei Ministri Di Pietro e Mastella


...La politica del centrodestra al riguardo si è mostrata del tutto indifferente: a vuoti annunci si sono affiancate misure che contrastano con il rispetto della legalità, l’inerzia rispetto alla criminalità economica, un abbassamento della guardia nel contrasto alla criminalità organizzata, l’utilizzo delle forze di polizia per operazioni repressive del tutto ingiustificate; basti pensare ai fatti di Genova, per i quali ancora oggi non sono state chiarite le responsabilità politica e istituzionale (al di là degli aspetti giudiziari) e sui quali l’Unione propone, per la prossima legislatura, l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta.
Pag. 77 del Programma elettorale dell'unione

martedì, luglio 03, 2007

Wikipedia Italia costretta a cedere al diritto d’autore

Acque movimentate in Italia attorno alla nota enciclopedia telematica di Wikipedia. Sta facendo discutere, infatti, la decisione presa da amministratori ed utenti di Wikimedia Commons e della Wikipedia italiana secondo cui andranno eliminate dalle pagine tematiche le immagini di importanti artisti contemporanei e moderni italiani a causa del diritto d’autore. Una decisione che rischia di far arretrare il nostro paese con un pesante danno per i beni culturali italiani, relegati in questo modo in seconda fascia per il poco spazio a disposizione sulla enciclopedia più grande del mondo. La decisione presa dagli amministratori è la logica conseguenza della legge italiana in materia di Copyright, quella legge 633 datata 1941 che non contempla il cosiddetto panorama freedom (libertà di panorama), che permette a chiunque di fotografare e riprodurre quanto pubblicamente visibile senza preoccuparsi di dover trovare il progettista e pagargli i diritti d'autore. Abbiamo sentito in merito Frieda Brioschi, presidentessa di Wikipedia Italia, che suo malgrado si è trovata a dover appoggiare la decisione.

Come siete arrivati alla decisione?

Purtroppo non c’era altra possibilità perché la situazione è abbastanza complicata dal punto di vista legislativo. Già nel gennaio 2007 la Soprintendenza per il Polo Museale fiorentino ci ha diffidato per l’uso "in modo non autorizzato di immagini di opere conservate nei musei statali di Firenze", e questo non è l’unico caso. Ci dobbiamo attenere alle leggi.

La legge italiana però rappresenta un’anomalia rispetto agli altri paesi

Dal punto di vista internazionale c’è un po’ di confusione perché in effetti non esiste una legislazione uniforme e in Italia scontiamo il fatto di avere una legge assolutamente non al passo coi tempi. Basti pensare che noi dobbiamo togliere le foto di un’artista italiano pubblicata sui nostri siti ma se un tedesco che viene in Italia scatta le foto e poi le pubblica su un sito del suo paese può farlo tranquillamente perché nessuno glielo vieta. Poi non c’è di mezzo solo l’Europa, ma chiaramente anche l’America e tutto il mondo in generale, per cui chiaramente ci sono situazioni e contingenze varie che rimangono difficili da spiegare anche a chi partecipa attivamente nelle pubblicazioni.

In questo senso voi avete le mani legate?

Si anche perché è vero che Wikipedia è un sistema che va oltre i confini, ma noi dobbiamo seguire le leggi italiane. Quello che abbiamo sempre cercato di fare noi e uno degli scopi dei nostri progetti è il riuso dei contenuti, è una questione di gestione interna per cui ci siamo sempre attenuti alle leggi in vigore in modo che l’edizione italiana potesse essere utilizzata da italiani.

Quale potrebbe essere la soluzione a questo punto?

Sono convinta che dal punto di vista legislativo non si possa risolvere celermente; anche se c’è qualche tentativo di cambiare la legge, siamo ancora lontani da una soluzione sotto questo punto di vista. Quello che piacerebbe a me, e che spero succeda presto, è che si schierassero in prima linea gli artisti stessi. Una presa di posizione forte, magari con una bella e sana dichiarazione dei proprietari dei diritti per consentire una più facile fruizione da parte di milioni di utenti.

mercoledì, maggio 02, 2007

La Chiesa se la prende con il nuovo "Pasquino"

Al concertone del primo maggio non sono mai mancate le polemiche e non poteva esimersi da questa tradizione l’edizione 2007 che ora corre il rischio di essere ricordata, più che per la qualità della proposta musicale della kermesse (in realtà meno soddisfacente degli altri anni) o per l’esordio alla conduzione di Claudia Gerini (da segnalare i sonori fischi dei 700mila quando ha rivolto un appello contro la pirateria), come per l’edizione contrassegnata dalle polemiche intorno alla Chiesa; la stessa che all’epoca di Wojtyla aveva accolto orde di giovani allo stesso concerto, organizzato per il giubileo in quel di Tor Vergata. Tutto ha inizio quando Andrea Rivera, il “citofonista” di “Parla con me”, sale sul palco nel pomeriggio per presentare la prima parte del concerto. In uno dei suoi interventi satirici, tra un omaggio ai morti sul lavoro e uno ai disoccupati, Rivera, che per i suoi spettacoli in strada si era conquistato il “titolo” di Pasquino di Trastevere, ha dichiarato di non sopportare il fatto che “il Vaticano abbia rifiutato i funerali di Welby. Invece non è stato così per Pinochet, a Franco e per uno della banda della Magliana. È giusto così. Assieme a Gesù Cristo non c'erano due malati di Sla, ma c'erano due ladroni”, il tutto condito da una premessa un po’ più piccante: “Il Papa ha detto che non crede nell'evoluzionismo. Sono d'accordo, infatti la Chiesa non si è mai evoluta”. Le prime voci di “sdegno” sono arrivate, di lì a poco, proprio dai padroni di casa; i segretari di Cgil, Cisl e Uil si sono subito dimostrati fortemente critici verso Rivera e Angeletti della Uil ha parlato di “dichiarazioni molto stupide che non condivido”. Ma la vicenda, a quel punto, era ancora alla fase embrionale perché, a rincarare la dose, ci ha pensato qualche ora dopo l’Osservatore Romano, che mai come in questo periodo si sta dimostrando pronto a monitorare e a stigmatizzare tutti i messaggi di dissenso. Toni forti quelli usati dal giornale d’oltretevere, che ha definito le parole di Rivera “Vili attacchi al Papa” e si è poi spinto ancora più in là assimilando la performance del conduttore al terrorismo. "E' terrorismo - spiega il giornale vaticano - lanciare attacchi alla Chiesa. E' terrorismo alimentare furori ciechi e irrazionali contro chi parla sempre in nome dell'amore, l'amore per la vita e l'amore per l'uomo. E' vile e terroristico lanciare sassi questa volta addirittura contro il Papa, sentendosi coperti dalle grida di approvazione di una folla facilmente eccitabile". L’Osservatore ribadisce poi la pericolosità delle frasi in un contesto che vede quotidianamente “attacchi e minacce, pesanti, rivolte al presidente della Cei in un'offensiva che cerca di trovare terreno fertile nell'odio anticlericale". La bomba arriva all’improvviso sulle scrivanie delle segreterie ed è tutto un fiorire di condanne contro Rivera, fino alla richiesta delle pubbliche scuse alla Chiesa e ai sindacati stessi fattagli da Bonanni, leader della Cisl, il cui vecchio segretario, Savino Pezzotta, è ora portavoce del family day. A fare da contraltare alla posizione del Vaticano è arrivata la dichiarazione di Sandro Curzi, consigliere di amministrazione Rai. “Mentre le pagine dei giornali sono piene delle minacce terroristiche al presidente della Cei e delle polemiche sul family day – scrive Curzi – è francamente irresponsabile buttare benzina sul fuoco per meschine strumentalizzazioni politiche. A prendere le distanze e a chiarire tempestivamente l’episodio sono intervenuti tutt’e tre i segretari confederali e il direttore di Rete Tre. Che si voleva di più? Che bruciassimo in piazza Rivera? Che si dimettesse il governo? Che Marx chiedesse scusa per essere venuto al mondo? Dispiace – conclude l’ex direttore di Rai Tre – che anche l’Osservatore Romano, che nella sua storia ci aveva abituati a ben altri e alti toni, si sia lasciato coinvolgere da un clima che tutti gli uomini di buona volontà dovrebbero cercare di svelenire piuttosto che caricare di rancorosa propaganda. Scrivere quello che ha scritto l’Osservatore, significa in tutta evidenza rischiare di fare esattamente ciò di cui si accusa l’avversario, anzi il ‘nemico’”. Il giovane conduttore, intanto, stupito e dispiaciuto dal polverone, ha voluto ribadire attraverso il suo sito che la sua è una satira che “vuole invitare a riflettere e non certo a creare un clima di odio e istigazione inutile e pericolosa”, peccato che il suo messaggio abbia avuto tutto un altro effetto.

venerdì, marzo 30, 2007

“Zitto e scrivi”, il giornalismo al tempo del precariato

12mila professionisti contrattualizzati e più di 20 mila che lavorano senza contratto, a tempo indeterminato o determinato. Nel complesso, 30mila persone che in Italia fanno informazione e di queste solo un terzo hanno un contratto nazionale da professionisti. È la dura realtà del mondo dell’informazione ai tempi del precariato, vera piaga sociale dei giorni nostri che interessa ormai i più disparati ambiti del mondo del lavoro. Di questo e della dura realtà di un eterno precario dell’informazione racconta Chiara Lico nel suo “Zitto e scrivi”, edito da una delle case editrici più attente ai cambiamenti e alle discriminazioni nel mondo dell’editoria, quella Stampa Alternativa che già si era occupata, con “Editori a perdere”, di narrare le vicende dei giovani aspiranti scrittori alle prese con gli editori “arraffa & divora” che imperversano sul mercato. “Zitto e scrivi” è la storia di Pieffe, soprannome di Perfettino Fumuni, giornalista mancato e precario senza onore né gloria. Pieffe ha un gran bisogno di lavorare; vuole fare il giornalista, ma non essendo figlio d’arte è costretto a farsi strada da solo fino a quando la grande occasione gli si para davanti: un lavoro in un’agenzia giornalistica on line, il modo migliore per svolgere il praticantato. Ma la realtà dei fatti è ben diversa e il protagonista si ritrova a lavorare con un contratto da metalmeccanico senza nemmeno la sicurezza del rinnovo e così la paura di perdere il posto diventa molto presto più forte della voglia di ribellarsi ad una serie di soprusi dei suoi capi; il suo obiettivo diventa “tacere e sopportare” arrivando fino al paradosso di giustificare i suoi “aguzzini” che almeno una possibilità di lavoro gliel’hanno offerta. Pieffe in questo senso è un antieroe, ma forse tante, troppe persone si ritroveranno nella sua storia perché questa ormai sembra essere diventata la stessa di tanti giovani del settore che anche chi vi scrive sta vivendo sulla propria pelle. Il libro, uscito il 20 marzo, ma scritto tra il 2000 e il 2001 (ha stupito anche l’autrice di come sia ancora oggi più attuale di allora), descrive sì la condizione dei giovani alle prese con la gavetta del giornalismo, ma allo stesso tempo è capace di rendere l’idea su quello che è oggi il mondo dell’informazione, in cui professionalità e competenza stanno vivendo un inesorabile declino. Chiara Lico, giornalista professionista dal 2000, e attualmente in forza alla Rai, in un appassionato intervento sul blog della sua casa editrice ha voluto analizzare le cause di questo declino, imputabile secondo lei alla minor selezione che viene ormai fatta alla radice, ma anche alla politica che “attualmente - e in modo bipartisan - si deve solo vergognare di come svilisce il ruolo del giornalista, visto che si sente - e fa bene perché le viene permesso - di essere la padrona-editrice di giornali e telegiornali”. Certo, gli aspiranti giornalisti potrebbero provare a ribellarsi, ma allora che precari sarebbero?

venerdì, marzo 23, 2007

“Delinquenti”, il nuovo disco della rock band che arriva dal carcere

Quella dei “Presi per caso” è una di quelle storie che troppo poco spesso vediamo raccontate in televisione, e che magari, quando un direttore di rete decide di fare una scelta coraggiosa, vengono relegate in programmi di seconda o terza fascia oraria. Il mondo carcerario sui media, negli ultimi mesi è tornato sì ad occupare un notevole spazio, ma solo perché la discussione sulla legge per l’indulto ha suscitato non poche reazioni sia nel mondo politico che nella società civile. Ma quello che ci insegnano i “Presi per caso” è che, in fondo, il carcere può essere ben altra cosa se inteso come tentativo di reinserimento nella società, forse proprio quello che sta mancando ai detenuti scarcerati in seguito alla legge del ministro Mastella. “Presi per caso” è questo, ma non solo. Perché l’intento della compagnia di detenuti, ex-detenuti e non-detenuti nata all’interno del carcere di Rebibbia è quello di comunicare il carcere in forma artistica per rompere il muro tra società dei reclusi e società dei liberi. Loro raccontano storie che parlano di carcere, ma lo fanno con il sorriso, perché “spesso, ridendo si riflette meglio”. “Presi per caso” è un progetto ampio, che parte proprio dalla considerazione che troppo spesso si parla di carcere e di detenuti attraverso stereotipi che mal si addicono con la realtà della vita carceraria, per questo motivo nasce l’idea e la voglia di contrapporre un nuovo modo di parlare di carcere, attraverso il sorriso e le arti, per provare a convincere dell’inutilità e soprattutto della controproduttività di questa istituzione. Un progetto ampio dicevamo, che comprende una compagnia teatrale e, soprattutto, una rock band che ha cominciato otto anni fa quasi per gioco, proponendo inizialmente concerti per le famiglie dei detenuti, e che ora si ritrova a suonare sempre più spesso anche all’esterno del carcere. Una formazione, come tengono orgogliosamente a ribadire i protagonisti dell’iniziativa, in continuo mutamento, perché scarcerazioni e arresti influiscono direttamente sulla composizione del gruppo, che al contrario delle grandi band internazionali, vivono con piacere ogni dipartita dalla formazione originale visto che ciò significa l’uscita dal carcere di uno dei componenti. Una band che ha vissuto due stagioni differenti, segnate da una diversità nella gestione della vita carceraria che ha influenzato anche le contaminazioni musicali. Dal 1996 al 2001, il regime carcerario imposto dall’amministrazione era molto severo e la produzione del gruppo era caratterizzata dall’uso massiccio di chitarre rock e distorsioni, con testi e liriche segnate da un sottofondo malinconico a descrivere lo stato d’animo dei reclusi. Diverso il periodo che dura ancora oggi, segnato da una forte apertura dell’amministrazione penitenziaria e dal Tribunale di Sorveglianza che ha consentito più di una volta al gruppo di uscire “allo scoperto” per presentare le proprie opere al pubblico esterno alle mura carcerarie. Così se del primo periodo rimangono solo alcune registrazioni video effettuate dall’amministrazione, il secondo è caratterizzato da una ben più ampia produzione, caratterizzata dal debutto nel mondo dei liberi, nel 2004, con un musical carcerario, “Radiobugliolo”, scritto e musicato da Salvatore Ferraro (membro e chitarrista della band dal 1998), diretto da Michele La Ginestra e rappresentato per quattro settimane al Palladium di Roma. Gran successo di pubblico e il primo disco omonimo che di lì a poco vedrà la luce riproponendo i pezzi dello stesso spettacolo. A febbraio, la band ha presentato il suo nuovo disco distribuito in tutta Italia, “Delinquenti”, 8 tracce di puro “Cabarock Penitenziario”, descritto come un lavoro “pieno di ironia, di storiacce di mala dal ridere e il solito filo di amarezza per i compagni che stanno in carcere e che non vogliamo dimenticare mai”, ma anche un omaggio a chi dal carcere non è riuscito ad andarsene mai, come Giorgio Capace, primo front man del gruppo, morto dopo una lunga malattia contratta durante il periodo di reclusione; per liberarlo idealmente, ora il cantante del gruppo deve essere per forza un uomo libero.

venerdì, marzo 09, 2007

Le Lega attacca Fiorello, ma inciampa su una zeta di troppo

Gli capitano così, e non lo fa di certo a posta. Nel bene e nel male Fiorello è sempre al centro dell’attenzione. Le sue gag sono riprese un giorno si e l’altro pure da editorialisti vari che fanno a gara per commentare gli interventi dei personaggi ospiti di “Viva Radio 2” condotta insieme a Marco Baldini, o le battute dello show man, che proprio grazie alla radio riesce a lanciare personaggi e tormentoni difficilmente proponibili in video. L’ultimo “caso Fiorello” però, ha del paradossale e può essere spiegato forse, solo partendo dall’irrefrenabile voglia di rilasciare dichiarazioni davanti ai taccuini dei giornalisti da parte di onorevoli in cerca di gloria. Potrebbe essere questa una delle chiave di lettura della gaffe del senatore Ettore Pirovano, chiamato a difendere l’onore e la credibilità della Lega e soprattutto del proprio leader Umberto Bossi. Il senatore leghista è partito a testa bassa e mentre la trasmissione era ancora in onda, ha rilasciato alle agenzie dichiarazioni che dimostravano un certo disprezzo per il comportamento di Fiorello, reo di aver scherzato sulla malattia di Bossi leggendo una finta lettera della Merkel. Secondo la cancelliera, per abbassare i gas serra sarebbe stato necessario mettere un pannolone al leader leghista. Battute al limite della logica della satira che avrebbero dovuto comportare la censura della trasmissione. Ora, sulle sanzioni disciplinari da prendere contro la squadra di “Viva Radio 2” se ne sarebbe potuto parlare a lungo se non fosse che il “senatur” non era mai stato chiamato in causa da Fiorello; nella trasmissione incriminata, lo show man aveva tormentato per tutta la puntata uno degli autori del programma, tale Francesco Bozzi da Palermo che con il Bossi padano ha ben poco in comune e che qualche giorno fa si era reso protagonista di “effluvi corporali” durante la trasmissione, cosa che ha mandato in visibilio Fiorello e Baldini, subito pronti ad imbastirne un tormentone ad hoc. Un abbaglio in piena regola che ha comportato il naturale risentimento della coppia d’oro di Radio Due, i quali non hanno potuto far altro che prendere la palla al balzo. Dopo la richiesta di scuse pubbliche da fare in diretta durante la trasmissione è partito il nuovo tormentone e così a Pirovano è stato consigliato un accurato esame audiometrico, evidentemente – ha glissato Fiorello – il senatore non becca le frequenze sulla zeta. Per non essere da meno Baldini ha invece anticipato il titolo odierno della Padania: “Francesco Bozzi è un petomane!”.

martedì, marzo 06, 2007

Tv, inizia l'era digitale. In Sardegna lo "Switch-off"

La televisione del futuro sta arrivando e, anche se a piccoli passi, l’Italia ha cominciato il lento avvicinamento alla digitalizzazione della tv. La data da segnarsi sul taccuino è stata quella del primo marzo, il giorno che ha segnato l’arrivo del digitale terrestre nell’area di Cagliari coinvolgendo 122 paesi del suo hinterland; paesi come Maracalagonis, Ussana o Decimomannu che sono stati scelti per il passaggio, il tanto declamato “switch off”, dalla televisione analogica a quella digitale terrestre Dtt. La Sardegna, dunque, è la prima regione italiana a conoscere i pregi e i difetti del sistema televisivo che fra qualche anno interesserà anche il continente; alle tre del mattino di giovedì Rai Due, Rete 4 e QOOB di Telecom Italia Media sono “scomparse” definitivamente dagli schermi dei telespettatori sardi e ora sono visibili solo attraverso i decoder acquistati in gran numero anche grazie ai contributi statali che, cancellati a fine 2006, sono stati reintrodotti in Sardegna per l’occasione, stimolando una vera e propria corsa all’acquisto dell’ultimo istante. Più di 7000 decoder sono stati infatti comperati dagli ultimi ritardatari nella settimana dal 19 al 27 marzo, e non poteva essere altrimenti, visto che solo con essi sarà possibile usufruire della nuova proposta di canali in chiaro, passati da 14 a 37 (più due canali a pagamento e 9 canali radio) tra cui Boing, Rai Sport Satellite, Rai Utile e BBC World. Non poche le difficoltà tecniche e organizzative che si sono presentate nel momento del passaggio, e anche se il Ministero delle Comunicazioni ha creato una task-force di tecnici e installatori (a pagamento) ad hoc, la prima giornata è passata tra innumerevoli lamentele e una valanga di chiamate al numero verde istituito dallo stesso Ministero. In verità la maggior parte delle rimostranze sono state quelle di persone che mal si sono adattate al nuovo sistema, vuoi perché impreparate, vuoi perché in difficoltà nell’usare due telecomandi invece di uno, mentre per quanto riguarda il segnale non ci sono stati grandi problemi anche se in alcuni casi si è verificata una sovrapposizione di immagini tra lo stesso canale in analogico e in digitale; sovrapposizione che ha comportato una sorta di “effetto Picasso” con immagini deformate e improbabili protagonisti di film o trasmissioni. Il passaggio non è stato quindi completamente indolore, e come ogni grande rivoluzione che si rispetti, anche questa, seppur molto meno traumatica, ha lasciato qualche strascico polemico, ma ora che la situazione si sta pian piano normalizzando i cittadini sembrano apprezzare il nuovo sistema che consente di usufruire di una più ampia gamma di canali. Insomma se gli anziani, categoria maggiormente colpita dal cambiamento di questi giorni, hanno da lamentarsi per i tasti troppo piccoli del nuovo telecomando in dotazione, è anche vero che potranno pur consolarsi, per la prima volta, con le trasmissioni di Tele Radio Padre Pio.

martedì, febbraio 27, 2007

Adesso la Chiesa scende in campo sul serio

È cominciata sabato e non è passata inosservata all’attenzione dei media, pronti ad immortalare l’ultima, e sicuramente più originale, trovata della Chiesa degli ultimi mesi. Parliamo della Clericus Cup, il primo campionato di calcio pontificio per preti e seminaristi di tutto il mondo. La Chiesa insomma si da al calcio, con la speranza forse un tantino esagerata, di vedere un giorno la squadra con i colori vaticani battersi contro Inter, Milan e Juventus, le grandi del nostro calcio, come ha affermato il cardinal Bertone, uno dei più grandi sostenitori dell’iniziativa. Nel momento più triste e buio dello sport amato e praticato dalla maggior parte degli italiani, la discesa in campo del Vaticano sembra proprio un gran paradosso, ma tant’è e sabato davanti ad un pubblico molto più devoto rispetto a quello delle tanto chiacchierate curve dei nostri stadi, si è svolta la partita inaugurale tra i “brasiliani” dell’Università Gregoriana e il collegio Mater Ecllesiae. La cronaca della partita ha offerto già spunti interessanti; parlando del risultato ad esempio, non può che sorprendere il fatto che gli allievi abbiano già superato i maestri, i seminaristi hanno infatti liquidato i più quotati sudamericani con un punteggio tennistico. Un 6 a 0 che ha fatto già gridare al “miracolo”, mentre sembra che in seguito al rigore sbagliato sullo 0 a 1 il protagonista dell’errore abbia chiesto ai propri compagni se per caso quello potesse essere considerato un peccato… Fatte le dovute proporzioni, l’organizzazione del campionato ecclesiastico non si discosta dalla ben più quotata seria A, con la presenza di giocatori stranieri, folto pubblico sugli spalti, terne arbitrali e, soprattutto, significativi introiti da parte degli sponsor. Sulle maglie dei calciatori, infatti, campeggia in bella mostra il logo della Ina Assitalia, la compagnia assicuratrice che qualche hanno fa si era già impegnata nel mondo del calcio sponsorizzando la Roma di Totti. La differenza principale con il calcio più quotato? Non si giocherà mai di domenica, il giorno dedicato al Signore. Resta da capire ora, e qui il cronista è colto da una fortissima curiosità, cosa succederà ai giovani e inesperti calciatori “in saio” una volta scesi in campo, quando la foga agonistica si farà immancabilmente sentire. Nella partita inaugurale ci sono state solo due ammonizioni per falli veniali. Il vigore agonistico insomma è rimasto negli spogliatoi, ma già si scommette su quali saranno le sanzioni disciplinari in caso di eventuali espulsioni o squalifiche, basterà qualche giornata di sospensione o si renderà necessario intervenire dall’“alto” con un’assoluzione? E ancora, in che modo sarà possibile prendersela con l’arbitro? Banditi naturalmente gli epiteti di solito usati, che spesso prendono di mira anche la moglie del direttore di gara, ci sarà bisogno di nuove forme di protesta. Per quanto riguarda i tifosi, non è molto chiaro se sarà ancora possibile definire come “idoli” i propri calciatori preferiti, assolutamente vietato invece, dire che gli stessi giochino “da Dio”. Intanto, mentre cresce sempre con più insistenza la voce secondo cui si potrebbe presto giocare un derby infuocato tra la nazionale vaticana e quella degli atei, rimangono da delineare le linee guida di comportamento negli spogliatoi, a forte rischio l’integrità morale dei giovani seminaristi “costretti” a fare la doccia tutti insieme.

martedì, aprile 04, 2006

Gli italiani brava gente

Prime righe dell'articolo a firma di P. Citati apparso qualche giorno fa su Repubblica:
Almeno sui giornali, mai come oggi gli italiani si sono vibrate ferite così sanguinose. Non hanno senso civico, non hanno vita interiore, non amano la patria, non amano Dio, non hanno fede, non pagano le tasse, non leggono libri: sono frivoli, arroganti, corrotti, vuoti, pomposi, megalomani, mitomani, dissipatori, immorali, stupidi. Hanno pessimi uomini politici, industriali senza fantasia, velisti senza pazienza, giornalisti non informati, scrittori senza talento, registi senza pubblico, e soprattutto critici letterari infamissimi, che corrompono ogni giorno l'intera nazione. E poi non hanno avuto la riforma protestante, che li avrebbe salvati dalla tirannia della Chiesa. E poi non hanno avuto rivoluzione francese, che avrebbe fatto conoscere loro la libertà, non importa se con qualche elegante scintillio di ghigliottine. E poi non hanno avuto la rivoluzione russa, che avrebbe fatto conoscere loro l'uguaglianza, non importa se con qualche stilla di sangue. Insomma, gli italiani non hanno avuto e non hanno niente. Sono lì, con le loro vecchie città, con i loro vecchi paesi, corvi, rapaci appolaiati sulle rovine.

martedì, marzo 28, 2006

bene/male

Prendere le difese di un suonatore extracomunitario sul tram, colpevole solo di aver spostato il suo strumento e di aver sfiorato una signora, fa stare bene (chissà se può essere considerata una cosa di sinistra?)... Quello che fa stare male sono i pregiudizi e l'ignoranza della gente...

sabato, marzo 25, 2006

finalmente

Che spettacolo! oggi scipoero dei giornalisti. Niente telegiornali. E niente prodiberlusconifassinofinirutellicasini che rompono le palle con i commenti sul fatto politico del giorno... Spero solo che quel giorno arrivi presto...

martedì, marzo 14, 2006

IL DUELLO

Non avrei mai pensato di ritrovarmi a vedere una partita dell'inter con l'unico intento quello di sfuggire alla tempesta mediatica del duello tra Br e Pr... ormai hanno stufato... sono due mesi che siamo in balia della loro campagna elettorale... e sento parlare ancora di "indecisi". Mi stupisco del fatto che ci sia gente che non ha ancora deciso per chi votare...