venerdì, marzo 30, 2007

“Zitto e scrivi”, il giornalismo al tempo del precariato

12mila professionisti contrattualizzati e più di 20 mila che lavorano senza contratto, a tempo indeterminato o determinato. Nel complesso, 30mila persone che in Italia fanno informazione e di queste solo un terzo hanno un contratto nazionale da professionisti. È la dura realtà del mondo dell’informazione ai tempi del precariato, vera piaga sociale dei giorni nostri che interessa ormai i più disparati ambiti del mondo del lavoro. Di questo e della dura realtà di un eterno precario dell’informazione racconta Chiara Lico nel suo “Zitto e scrivi”, edito da una delle case editrici più attente ai cambiamenti e alle discriminazioni nel mondo dell’editoria, quella Stampa Alternativa che già si era occupata, con “Editori a perdere”, di narrare le vicende dei giovani aspiranti scrittori alle prese con gli editori “arraffa & divora” che imperversano sul mercato. “Zitto e scrivi” è la storia di Pieffe, soprannome di Perfettino Fumuni, giornalista mancato e precario senza onore né gloria. Pieffe ha un gran bisogno di lavorare; vuole fare il giornalista, ma non essendo figlio d’arte è costretto a farsi strada da solo fino a quando la grande occasione gli si para davanti: un lavoro in un’agenzia giornalistica on line, il modo migliore per svolgere il praticantato. Ma la realtà dei fatti è ben diversa e il protagonista si ritrova a lavorare con un contratto da metalmeccanico senza nemmeno la sicurezza del rinnovo e così la paura di perdere il posto diventa molto presto più forte della voglia di ribellarsi ad una serie di soprusi dei suoi capi; il suo obiettivo diventa “tacere e sopportare” arrivando fino al paradosso di giustificare i suoi “aguzzini” che almeno una possibilità di lavoro gliel’hanno offerta. Pieffe in questo senso è un antieroe, ma forse tante, troppe persone si ritroveranno nella sua storia perché questa ormai sembra essere diventata la stessa di tanti giovani del settore che anche chi vi scrive sta vivendo sulla propria pelle. Il libro, uscito il 20 marzo, ma scritto tra il 2000 e il 2001 (ha stupito anche l’autrice di come sia ancora oggi più attuale di allora), descrive sì la condizione dei giovani alle prese con la gavetta del giornalismo, ma allo stesso tempo è capace di rendere l’idea su quello che è oggi il mondo dell’informazione, in cui professionalità e competenza stanno vivendo un inesorabile declino. Chiara Lico, giornalista professionista dal 2000, e attualmente in forza alla Rai, in un appassionato intervento sul blog della sua casa editrice ha voluto analizzare le cause di questo declino, imputabile secondo lei alla minor selezione che viene ormai fatta alla radice, ma anche alla politica che “attualmente - e in modo bipartisan - si deve solo vergognare di come svilisce il ruolo del giornalista, visto che si sente - e fa bene perché le viene permesso - di essere la padrona-editrice di giornali e telegiornali”. Certo, gli aspiranti giornalisti potrebbero provare a ribellarsi, ma allora che precari sarebbero?

mercoledì, marzo 28, 2007

MIR, una radio via satellite per raggiungere le sponde del Mediterraneo

Creare un ponte ideale tra le diverse anime e culture del mediterraneo dando voce a chi di solito non ne ha. È l’obiettivo che si è prefissato l’agenzia radiofonica di informazione AmisNet attraverso il progetto MIR (Mediterranean Info Radio), la prima radio di all news via satellite realizzata da radio e gruppi di produzioni dal basso nel Mediterraneo. AmisNet, che già produce lanci quotidiani e settimanali ripresi ogni giorno da una trentina di emittenti locali in tutta Italia, aveva in cantiere l’idea già da un paio di anni e ora che la digitalizzazione ha contribuito a rendere i tempi più maturi il progetto è diventato realtà e il 21 marzo è andata in onda la prima trasmissione in collaborazione con altre radio italiane (Lettera 22, Radio 4 peace, Progetto Melting Pot, Radio Sherwood), e mediterranee (Radio Student di Lubiana, Palestinian News Network di Betlemme, Radio Ammannet di Amman). Una radio via satellite perché, come ci ha spiegato il presidente di AmisNet, Francesco Diasio, l’idea è anche quella di “iniziare” il pubblico ad un salto culturale; “in molti paesi del Mediterraneo, infatti, l’uso della parabola è già molto diffuso. Una buona occasione per noi per fare arrivare i nostri messaggi, perché sappiamo che molte emittenti televisive indipendenti, soprattutto nella sponda sud, vivono ancora sotto la scure della censura. Il nostro scopo allora, è anche quello di far abituare questa gente ad ascoltare la radio attraverso la tv e permettergli di ricevere, proprio attraverso il segnale del satellite che difficilmente può essere bloccato, notizie ed informazioni che fino a ieri non avrebbero potuto ricevere.” Il progetto MIR, un acronimo simbolico che significa “pace” nella maggior parte delle lingue slave, è ancora nella fase sperimentale che durerà per i prossimi sei mesi e per il momento il palinsesto è diviso per fasce linguistiche, ma l’intenzione espressa da Diasio è quella di arrivare al più presto a creare una vera e propria identità della radio che le consenta di essere gestita in maniera autonoma, con la creazione di un gruppo di lavoro che riesca a dare continuità e ad amalgamare le diverse anime del progetto. “Una grande sfida” come tiene a ribadire il presidente, ma che “spero possa arrivare lontano. Soprattutto vorrei che l’esperienza non si limitasse ad una semplice questione geografica. L’intenzione è quella di creare una comunicazione identitaria bidirezionale che consenta a tutti gli abitanti del Mediterraneo di sentirsi partecipi. Già oggi, solo per fare un esempio, i programmi in lingua turca vengono diretti dalle comunità di migranti presenti in Svizzera piuttosto che in Germania.” Una grande sfida anche a livello economico, ma questo per il momento è un problema che rimane secondario a cui si cerca di rispondere con la fantasia e la professionalità che caratterizzano il lavoro dell’agenzia. L’iniziativa, intanto, a solo una settimana dal lancio, sta già facendo registrare i suoi primi riscontri positivi e se ancora è presto per parlare di dati di ascolto c’è comunque da segnalare la buona rilevanza ottenuta a livello mediatico, con il rilancio di più di un’agenzia e l’interesse dimostrato da diverse testate giornalistiche, ma quello che conta di più per Diasio sono le richieste di adesione da parte di altre realtà dell’area mediterranea che già si sono dette pronte a partecipare, come “Radyo Acik” di Istanbul, “Femme communication”, centro di produzione algerino tutto al femminile e l’agenzia internazionale IPS (Inter Press Service), con sede a Roma, ma che dispone di una rete di corrispondenti dislocati in oltre 100 paesi. Per ascoltare MIR basta avere una parabola e un ricevitore, e sintonizzarsi sul canale 9600 di Eutelsat 13°E (i dettagli tecnici sul sito www.amisnet.org).

lunedì, marzo 26, 2007

I 10 giochi più importanti della storia

“Spacewars”, “Tetris” e “Zork”. Sono alcuni dei titoli inseriti nella lista dei dieci videogiochi più influenti della storia, redatta da una commissione ad hoc costituita durante l’ultima edizione della “Game Developers Conference”, tenutasi a San Francisco nella prima settimana di marzo. La commissione, presieduta da Henry Lowood, curatore della “Collezione di Storia della Scienza e della Tecnica” presso l’Università di Stanford ha presentato la lista dei titoli con la richiesta che essi vengano inseriti e conservati nella prestigiosa Libreria del Congresso americano di Washington che ora dovrà decidere se dopo l’ingresso della “National Film Preservation Board”, l’istituzione per la conservazione delle pellicole che hanno fatto la storia del cinema, sia arrivato il momento o meno anche dei videogiochi nella “libreria nazionale” americana. L’intenzione dei promotori dell’iniziativa, tra cui c’è anche l’italiano Matteo Bittanti, 31enne ricercatore e scrittore a Stanford, è quella di “testimoniare il fatto che i giochi digitali hanno un significato culturale e una rilevanza storica”, come dichiarato dallo stesso Lowood in una recente intervista al New York Times. Così nella lista sono stati inclusi tutti i capostipiti dei generi che in pochi anni si sono imposti come veri e propri fenomeni culturali. Ecco allora in cima alla lista lo “Spacewars” del lontano 1962, mai commercializzato per i costi elevati dell’epoca, ma che ha rappresentato il primo gioco d’azione e multigiocatore a simulare una sorta di guerra spaziale; il “Tetris” del 1985, tanto semplice graficamente quanto ingegnoso come rompicapo; il “SimCity” del 1989, primo esempio di gioco in cui l’utente è chiamato a creare dal nulla una città o il “Super Mario Bros 3”, uno dei giochi più venduti della storia con oltre 190 milioni di copie. Giochi che hanno segnato le diverse generazioni che li hanno visti nascere, diventando in alcuni casi dei veri e propri tormentoni entrati a far parte della cultura pop anche se la lista non sembra accontentare in pieno le diverse anime della cultura videoludica. Sul web infatti, nei vari siti specialistici e di settore i forum si sono riempiti di discussioni sulla reale importanza dei videogiochi inseriti nella lista; oggetto della discussione è stato proprio cosa significhi il “10 giochi più importanti” della ricerca. Voci di dissenso si sono levate da parte degli utenti che non riconoscono tale autorità ai selezionatori della lista e che invece parlano di una soggettività di cui non si può non tenere conto. In effetti la lista redatta da Lowood e soci qualche sorpresa l’ha riservata e se l’inserimento di “Sensible World of Soccer” ha comportato non poche proteste da parte dei blogger, ancor più “strana” sembra l’assenza di “Pong”, considerato da più parti il “nonno” dei videogiochi moderni. Le critiche non hanno comunque lasciato indifferente Lowood che ha tenuto a precisare che la lista è solo un primo passo per l’ingresso del mondo dei videogame nella biblioteca americana, solo a quel punto la lista potrà essere “completata di anno in anno”.

La lista completa dei giochi storici: Spacewar (1962), Star Raiders (1979), Zork (1980), Tetris (1985), SimCity (1989), Super Mario Bros. 3 (1990), Civilization I (1991), Doom (1993), Warcraft(1994), Sensible World of Soccer (1994)

Kongregate.com, lo youtube dei videogiochi

Come comportarsi e, soprattutto, come spiegare il mio progetto agli investitori della Silicon Valley se devo chiedergli un milione di dollari per poterlo finanziare? È quello che avrà pensato qualche giorno fa il produttore di videogiochi Jim Greer prima di sedersi per raccontare il suo piano, che una soluzione, in realtà, l’ha trovata abbastanza facilmente; gli è bastato paragonare la sua creazione a quel “Youtube” che è stato capace di modificare la fruizione dei video nel web da parte degli utenti. Così Greer ha definito il suo kongregate.com come il “youtube dei videogiochi”, destando l’attenzione e la curiosità dei suoi ascoltatori. Non solo una trovata pubblicitaria però, perché kongregate.com in effetti, ricalca i meccanismi e, in parte, anche l’aspetto grafico del sistema di video del più quotato portale per la visione dei filmati acquistato recentemente da google. Kongregate, battezzato a giugno dell’anno scorso, ha funzionato per qualche mese ad inviti, con giocatori e sviluppatori chiamati a provarlo, per poi essere aperto a tutti gli utenti dopo Natale e ora il portale contiene già più di trecento giochi differenti, tutti in flash, caricati dagli stessi utenti. Quello che differenzia kongregate, e che lo rende anche più appetibile rispetto a youtube è la possibilità da parte degli sviluppatori di guadagnare grazie a diverse offerte previste dal portale; i creatori che uploaderanno i propri giochi al sito, infatti, non riceveranno solamente gloria e popolarità, ma anche parte dei profitti generati dalle iscrizioni al sito (gli utenti possono infatti scegliere diverse modalità di gioco: un abbonamento per accessi limitati oppure pagamenti per ogni gioco provato). Inoltre Kongregate offre tra il 25% e il 50% delle entrate pubblicitarie e l'80% dell'entrate provenienti da eventuali transazioni in un gioco. I servizi non si fermano però alla sola questione economica, e puntano piuttosto a far diventare kongragate come il punto di riferimento della comunità degli sviluppatori dei giochi in flash, diventati, grazie alle nuove versioni del programma, sempre più sofisticati e anche sempre più giocati, soprattutto on line. Per raggiungere l’obiettivo Greer, che ha iniziato a produrre videogiochi con il suo computer Apple II quando aveva 12 anni, ha pensato ad altre funzionalità come la possibilità di votare e commentare i giochi provati, le classifiche dei giochi più popolari e le ricerche per tipologia e categoria. Per ogni gioco è riportato poi, oltre a descrizione e tag assegnate, il numero di persone che ci stanno giocando in quel momento e anche una chat on line; tutto allo scopo, naturalmente, di far emergere i giochi migliori visto che, come è logico dedurre, non tutti i 300 giochi presenti sul portale meriterebbero una così ampia vetrina. Lo ha chiarito lo stesso Greer che ha dichiarato che “non tutti i giochi sono delle gemme, ma i primi 100 lo sono”. Intanto però il progetto iniziale ha preso piede richiamando l’attenzione di altri investitori, come Reid Hoffman, fondatore di LinkedIn ed ex amministratore di PayPal, che punta alla crescita del sistema perché “se hai mille persone che creano un contenuto, allora possono nascere cose veramente interessanti”.

venerdì, marzo 23, 2007

“Delinquenti”, il nuovo disco della rock band che arriva dal carcere

Quella dei “Presi per caso” è una di quelle storie che troppo poco spesso vediamo raccontate in televisione, e che magari, quando un direttore di rete decide di fare una scelta coraggiosa, vengono relegate in programmi di seconda o terza fascia oraria. Il mondo carcerario sui media, negli ultimi mesi è tornato sì ad occupare un notevole spazio, ma solo perché la discussione sulla legge per l’indulto ha suscitato non poche reazioni sia nel mondo politico che nella società civile. Ma quello che ci insegnano i “Presi per caso” è che, in fondo, il carcere può essere ben altra cosa se inteso come tentativo di reinserimento nella società, forse proprio quello che sta mancando ai detenuti scarcerati in seguito alla legge del ministro Mastella. “Presi per caso” è questo, ma non solo. Perché l’intento della compagnia di detenuti, ex-detenuti e non-detenuti nata all’interno del carcere di Rebibbia è quello di comunicare il carcere in forma artistica per rompere il muro tra società dei reclusi e società dei liberi. Loro raccontano storie che parlano di carcere, ma lo fanno con il sorriso, perché “spesso, ridendo si riflette meglio”. “Presi per caso” è un progetto ampio, che parte proprio dalla considerazione che troppo spesso si parla di carcere e di detenuti attraverso stereotipi che mal si addicono con la realtà della vita carceraria, per questo motivo nasce l’idea e la voglia di contrapporre un nuovo modo di parlare di carcere, attraverso il sorriso e le arti, per provare a convincere dell’inutilità e soprattutto della controproduttività di questa istituzione. Un progetto ampio dicevamo, che comprende una compagnia teatrale e, soprattutto, una rock band che ha cominciato otto anni fa quasi per gioco, proponendo inizialmente concerti per le famiglie dei detenuti, e che ora si ritrova a suonare sempre più spesso anche all’esterno del carcere. Una formazione, come tengono orgogliosamente a ribadire i protagonisti dell’iniziativa, in continuo mutamento, perché scarcerazioni e arresti influiscono direttamente sulla composizione del gruppo, che al contrario delle grandi band internazionali, vivono con piacere ogni dipartita dalla formazione originale visto che ciò significa l’uscita dal carcere di uno dei componenti. Una band che ha vissuto due stagioni differenti, segnate da una diversità nella gestione della vita carceraria che ha influenzato anche le contaminazioni musicali. Dal 1996 al 2001, il regime carcerario imposto dall’amministrazione era molto severo e la produzione del gruppo era caratterizzata dall’uso massiccio di chitarre rock e distorsioni, con testi e liriche segnate da un sottofondo malinconico a descrivere lo stato d’animo dei reclusi. Diverso il periodo che dura ancora oggi, segnato da una forte apertura dell’amministrazione penitenziaria e dal Tribunale di Sorveglianza che ha consentito più di una volta al gruppo di uscire “allo scoperto” per presentare le proprie opere al pubblico esterno alle mura carcerarie. Così se del primo periodo rimangono solo alcune registrazioni video effettuate dall’amministrazione, il secondo è caratterizzato da una ben più ampia produzione, caratterizzata dal debutto nel mondo dei liberi, nel 2004, con un musical carcerario, “Radiobugliolo”, scritto e musicato da Salvatore Ferraro (membro e chitarrista della band dal 1998), diretto da Michele La Ginestra e rappresentato per quattro settimane al Palladium di Roma. Gran successo di pubblico e il primo disco omonimo che di lì a poco vedrà la luce riproponendo i pezzi dello stesso spettacolo. A febbraio, la band ha presentato il suo nuovo disco distribuito in tutta Italia, “Delinquenti”, 8 tracce di puro “Cabarock Penitenziario”, descritto come un lavoro “pieno di ironia, di storiacce di mala dal ridere e il solito filo di amarezza per i compagni che stanno in carcere e che non vogliamo dimenticare mai”, ma anche un omaggio a chi dal carcere non è riuscito ad andarsene mai, come Giorgio Capace, primo front man del gruppo, morto dopo una lunga malattia contratta durante il periodo di reclusione; per liberarlo idealmente, ora il cantante del gruppo deve essere per forza un uomo libero.

Playlist, fenomeno di tendenza dettato dall’audiradio

Una volta c’era il flusso creativo, quello immortalato in “Lavorare con lentezza”, il film di Guido Chiesa dedicato agli anni della bolognese Radio Alice, la più rappresentativa delle radio libere dagli anni ’70. Quel flusso creativo, tanto caro ai protagonisti dell’epoca, è andato via via scomparendo e quello che ne rimane oggi sono le cosiddette playlist, la lista delle canzoni in programmazione, sempre più omologate all’interno del sistema delle radio commerciali. Basta girare per i siti internet delle più famose radio del momento per rendersi conto di quanto la scelta delle canzoni sia ormai così poco fantasiosa da far pensare ad una oscura regia che dall’alto manovra le scelte di dj e conduttori di programmi radiofonici. Una vera e propria “lobotomia radiofonica” come la definisce Alfredo d’Agnese, giornalista di settore, che ci spiega come dalla fine degli anni ’80, il sistema della “heavy rotation” abbia comportato una omologazione totale dei pezzi che si ascoltano sulle diverse radio commerciali; un sistema che “costringe” il pubblico ad ascoltare un pezzo a distanza ravvicinata per tutta la giornata. Una sorta di pubblicità tamburellante per far breccia nel cuore e nella mente degli ascoltatori. “Una volta scelto di passare al modello di network radiofonico – continua d’Agnese – le radio hanno dovuto seguire delle regole di marketing ben precise, le playlist ormai sono bloccate e sono pochissimi i casi in cui si può ancora parlare di scelte che sono frutto di un talento creativo o della spontanea volontà del conduttore di un programma. Persino nel programma Terzo Anello di Radio3 ormai, c’è un cervellone elettronico che decide quali canzoni inserire nella programmazione”. Quello della scelta della programmazione sembra quindi essere diventato più un fenomeno di moda e di tendenza che altro, basti pensare al libro pubblicato recentemente da Luca Sofri intitolato proprio “playlist”, ma come ci spiega ancora d’Agnese “negli anni ’70 era il contrario e erano le stesse radio a lanciare le tendenze musicali, come faceva la BBC con l’indimenticabile John Peel che presentava al pubblico le nuove band della musica internazionale ancora sconosciute al grande pubblico”. E se cerchiamo di scoprire come è avvenuto questo cambiamento ci rendiamo conto che in fondo il mondo della radio non sfugge alle regole del mercato così come gli altri media; “direi che ormai i grandi numeri della radio non permettono più la libertà di scelta ai dj: gli sponsor e le case discografiche oggigiorno contano molto di più dei conduttori, non parlerei di pressione sulle scelte ma di una vera e propria dittatura che viene esercitata attraverso l’audiradio. In fondo è un po’ quello che succede in televisione: se gli ascolti salgono arrivano le collaborazioni con le case discografiche e di conseguenza anche gli sponsor”, una legge di mercato che purtroppo mal si addice con le scelte qualitative della programmazione e più in generale con una pluralità di proposte musicale che manca, con rare eccezioni, in tutte le grandi radio commerciali.

mercoledì, marzo 21, 2007

La valvola di sfogo per intelligenti disadattati? L’heavy metal

E noi che li immaginavamo seduti su un sofà, magari con un libro in mano, ad ascoltare Chopin o Bach. Niente di tutto ciò. I giovani secchioni di una volta, oggi sono gli headbangers più incalliti. O almeno questo è ciò che emerge da una ricerca condotta dall'università di Warwick e presentata ieri alla conferenza della British Psychological Society, che ha esaminato i gusti musicali di 1.057 ragazzi membri della National Academy for Gifted and Talented Youth, un’associazione che raggruppa i giovani tra 11 e 19 anni con i voti migliori rispetto alla media nazionale. Secondo i risultati dalla ricerca, l’heavy metal risulta essere il genere preferito dagli adolescenti con il quoziente intellettivo più alto. La causa? La loro intelligenza, superiore alla media, gli impedisce di stabilire facilmente relazioni sociali e questo tipo di musica è l’unico che gli consenta di sfogare la propria frustrazione. Lo psicologo che ha condotto lo studio ha confermato questa tendenza: secondo Stuart Cadwallader infatti “la percezione diffusa è che gli studenti di talento amino la musica classica e trascorrano molto tempo a leggere. È vero che alcuni studi collegano l’heavy metal a cattivi risultati scolastici e alla criminalità, ma abbiamo trovato un gruppo di persone che contraddice tutto ciò. Sono ragazzi che fanno fatica ad inserirsi, sono stressati e perciò ascoltano questa musica”. In base alla ricerca, tra i ragazzi intervistati, il 39% ha indicato il rock come genere musicale preferito ed un terzo ha incluso il metal nei cinque generi favoriti. In confronto, solo il 14% ha affermato di amare la musica pop. Niente note per rilassare le menti dunque, piuttosto una sana scarica di adrenalina, capace di capovolgere insoddisfazioni personali e stress accumulato. E per noi sembra essere arrivato il momento di immaginarci un nuovo stereotipo: quello del giovane intelligente ma disadattato che poga sotto un palco al ritmo degli Iron Maiden.

martedì, marzo 20, 2007

Videogames, ai giocatori piace il sesso virtuale

E per fortuna che, almeno per ora, nessun fatto di cronaca ha ispirato i grandi media a tal punto da fargli dare la colpa ai videogiochi a sfondo erotico; perché, mentre sugli stessi media si fa effervescente il dibattito sulla violenza causata da videogames spesso additati come maleducativi, il settore dei videogiochi per adulti non conosce sosta e sta facendo registrare una crescita esponenziale che dura ormai da qualche anno. Tutto ciò soprattutto grazie alla grafica 3D, in continua evoluzione anch’essa e ormai arrivata alla quasi perfezione nel riprodurre immagini, che sembra creata apposta per realizzare i sogni e le fantasie più spinte dei giocatori maggiorenni. La dimostrazione di come il sesso stia divenendo una solida base dell'industria dei videogiochi arriva dai dati di vendita di giochi che hanno riscosso un grande successo come “VirtualJenna”, videogame personale della pornostar Jenna Jameson, “Playboy: the mansion” o “3D sex villa”, quest’ultimo arrivato addirittura alla versione 23 e che consente di scegliere tra modelle bionde, afro o asiatiche, da svestire e farle giocare, da sole e con il partner, in posizioni da kamasutra e con giocattoli erotici. Così, dopo anni passati a produrre titoli in cui lo scopo principale è uccidere un nemico fatto di pixel, le software house si stanno accorgendo che può rivelarsi più eccitante per gli utenti avere un rapporto sessuale mediato dal gioco. Secondo Brenda Brathwaite, direttore del Sex SIG (Special Interest Group) dell'International Game Developers Association “il mercato sta decollando come un razzo” e questo proprio grazie alle recenti innovazioni tecnologiche che hanno reso la sensualità di scene e personaggi anche più “appealing”; gli ultimi mesi hanno confermato questa tendenza e la produzione di MMOEGs (massively multiplayer online erotic games) sta interessando tutti gli esperti di settore. Volendo ripercorrere la storia recente dei videogames a sfondo erotico si può individuare in un aggiornamento non ufficiale di “Grand Theft Auto: San Andreas” il pioniere del genere; scaricato da migliaia di utenti, “Hot Coffee” era in grado di far vivere al giocatore amplessi virtuali attraverso il proprio alter ego. Il successo ottenuto da questa versione del gioco ha fatto capire ai game designer quale sarebbe stato il nuovo genere su cui puntare, così mentre alcuni senatori americani, tra cui Hillary Clinton, proponevano una legge per vietare la vendita di giochi osceni ai minori, venivano commercializzati i primi titoli a luci rosse e nell’estate scorsa è arrivato in America “Naughty America – The Game”, un titolo in cui, attraverso un alter ego, è possibile incontrare, chattare, flirtare e fare sesso virtuale online con gli alter ego degli altri utenti. La stampa statunitense si è ovviamente dedicata al gioco, ma tutta l’attenzione dedicatagli dai giornali non è bastata per inserire il titolo nella vetrina internazionale rappresentata dall'E3 di Los Angeles; gli organizzatori infatti hanno respinto la partecipazione di questo titolo a causa del suo “contenuto adulto”. Sono gli stessi problemi che hanno altri titoli del genere, sottoposti ad una censura preventiva da parte dei distributori che rischiano di rilegarli sempre più verso negozi stile sexy shop e in generale ad una proficua collaborazione con il mercato del porno, ma il trend è comunque positivo e lo dimostra anche la moda crescente di trasformare i videogame di vita virtuale, come “Second Life”, in veri e propri strumenti con cui avere relazioni sessuali, che da virtuali possono sfociare nella realtà. È quello che succede anche in “Single 2”, seconda edizione dello spin-off di “Sims” che permette agli utenti giocatori di inseguire il “successo” sessuale sia tra etero che tra omosessuali. Insomma, la crescita del potere dei giochi digitali sta stimolando gli sviluppatori a creare contenuti che esplorino gli aspetti più disparati della condizione umana e non poteva di certo mancare il sesso, diventato ora uno degli obiettivi principali dei produttori sempre più pronti a soddisfare le fantasie erotiche dei giocatori.

sabato, marzo 17, 2007

“Terra matta” autobiografia di un analfabeta

Vincenzo Rabito, bracciante siciliano semi analfabeta, dal 1968 al 1975, ogni giorno si chiude a chiave in camera per scrivere su una vecchia Olivetti la sua autobiografia. Ne vengono fuori 1027 pagine che rimangono chiuse nel cassetto fino a quando il figlio Giovanni, alcuni anni dopo la sua morte, le invia al Premio Pieve - Banca Toscana dedicato alla diaristica. L’opera vince il premio, Einaudi ne acquista i diritti e ora quelle mille pagine sono diventate le 400 che compongono “Terra matta”, libro uscito nei Supercoralli in versione ridotta ma esattamente come lui l'ha scritto, senza cambiare neppure una parola del testo originale. Non è un’autobiografia come tante, perché più che la storia della sua vita, è quella della lotta tra la sua condizione di semianalfabeta di un piccolo paese del ragusano, Chiaramonte Gulfi, e la sua esplosiva voglia di scrivere. Ma è anche un po’ la storia del nostro paese visto attraverso i ricordi di un ragazzo del ’99, l’ultima sfortunata classe chiamata al fronte nella prima guerra mondiale, che poi ha vissuto le bombe della seconda, il “rofianiccio” del Ventennio fascista e le campagne d’Africa, la fame atavica del Sud contadino e l'improvviso benessere della “bella ebica” del boom economico, l’avvento della tv e il potere mafioso. Secondo l'editore, che considera “Terra matta” una delle uscite più importanti dell’anno, Rabito fa un affresco della Sicilia degno di un “Gattopardo” popolare. Un’“Epopea tragicomica” attraverso un secolo di storia italiana, come la descrive invece la curatrice (insieme a Luca Ricci) Evelina Santangelo, scritta in un misto tra dialetto siciliano e italiano incerto da un bracciante che non ha studiato e non conosce la grammatica (metteva un punto e virgola quasi dopo ogni parola e il resto della punteggiatura a caso dove capitava). La storia personale di Rabito è travolgente ed evocativa, anche se non è facile seguire le evoluzioni del suo pensiero e districarsi in una lingua che è dialetto sì, ma solo parlato e per giunta da un semianalfabeta - ''La sua vita fu molta maletrata e molto travagliata e molto desprezata...” l’inizio del primo capitolo. Il padre muore di polmonite, la mamma resta sola con 7 figli. Tocca a lui, Vincenzo, il secondogenito sostenere la famiglia e a sette anni comincia a lavorare. Fa di tutto: vendemmia nei paesi vicini, zappa la terra, scava fino al richiamo in guerra. Lì scava le trincee, è affamato, si salva e fa parte dei soldati che fermano gli austriaci sul Piave. Torna a casa, si fa opportunista, come tanti, e diventa fascista, poi si ritrova di nuovo in guerra e riesce anche questa volta a tornare. Il dopoguerra è esemplare e una volta sposato, diventa cantoniere per raccomandazione. Saranno i suoi figli però, a vincere la battaglia per cui ha lottato più a lungo, quella del salto sociale e degli studi. “Terra matta” ci racconta le peripezie, le furbizie e gli esasperati sotterfugi di chi ha dovuto lottare tutta la vita per affrancarsi dalla miseria e per salvarsi la pelle, ma ci parla anche del carattere stesso del nostro Paese, dimostrandosi, pagina dopo pagina, come una straordinaria epopea dei diseredati.

giovedì, marzo 15, 2007

Capozzi: “Dove c’è libertà sessuale, c’è anche libertà mentale. E viceversa”

Roma torna ad ospitare uno dei personaggi più eclettici del mondo alternativo. Michele Capozzi, il pornologo e esploratore urbano che da 30 anni vive su una barca attraccata a New York, ospiterà amici e curiosi alla nuova proiezione del suo film “Pornology New York”, una vera e propria serata evento che torna a ripetersi dopo quelle tenute già in altre città come New York, Genova e Milano. È veramente un piacere parlare, anche se solo al telefono, con una persona che ha fatto della strada un mestiere da quando capì che i caruggi genovesi, dall’altra parte della strada rispetto alla facoltà dove si è laureato in legge e scienze sociali all'Università di Genova, e tutti i personaggi “borderline” che li affollavano, riuscivano a essere per lui tanto più formativi delle lezioni universitarie. Il Capozz, come lo chiamano gli amici più intimi, è reduce dalla sua ultima fatica, il libro “De Masturbazione”, edito dalla Malatempora, in cui è raccolto quello che potrebbe essere definito il Capoz-pensiero: “Dove c’è libertà sessuale, c’è anche libertà mentale e viceversa, l’una è la causa effetto dell’altra”.

Allora Michele, ci spiega come nasce un pornologo?

Pornologo è un termine che ho coniato per descrivere il processo che mi ha portato a diventare un cultore e uno studioso della sessualità e della mercificazione dei corpi in generale. Dalle prime esperienze di strada a Genova fino agli anni newyorchesi molto è stato segnato da questi temi, così nasce il termine pornologo che viene dal greco, dove pornè sta per prostituzione e logos sta per parola. Accanto al pornologo però, mi piace definirmi anche un esploratore urbano.

È da questi due “mestieri” che nasce “Pornology New York”?

Certamente. “Pornology New York” è il frutto delle mie esperienze, dei posti che ho frequentato insieme agli amici storici di una New York diversa da quella di oggi. È un atto di amore e di nostalgia su una città che alla fine degli anni ’70, e per un po’ anche negli anni ’90, era il centro del mondo della libertà sessuale. Oggi molto è cambiato e i 3 locali storici di cui racconto nel film sono stati tutti chiusi. I protagonisti sono le tre anime dei locali più in voga della New York alternativa, Neville Chambers nella sua “Fuck Factory”, Lenny Waller e l’“Hell Fire”, Porsche Lynn e il suo “Den Of Iniquità”. Io partecipo come un Caronte che guida il pubblico attraverso queste storie.

Il film è uscito nel 2005 ma è ancora senza una distribuzione.

Si è vero, anche se ha ottenuto il premo del pubblico, l’“Audience Choice Award”, al CineKink festival di New York. Ma quello della distribuzione non è il mio primo pensiero. In realtà non ho cercato ancora una distribuzione regolare perché mi rendo conto che c’è bisogno di una distribuzione diversa da quella del mainstream. Il mio è un docu-cult, un cult che non può essere classificato molto facilmente, ma non voglio nemmeno correre il rischio che venga ritenuto un porno, anche se contiene scene di sesso molto forti. Non voglio che venga racchiuso in questa nicchia e mi piacerebbe che avesse la stessa rilevanza che ha avuto “Shortbus”. Perciò aspetto, e sono molto fiducioso su questo, che arrivi presto un distributore coraggioso disposto a farlo.

Intanto, per vederlo c’è bisogno di venire ad una delle sue serate speciali?

Il film è stato proiettato con un buon riscontro di pubblico in diverse città, a partire dalla prima nella mia Genova. Quello che mi ha fatto più piacere è stato incontrare persone che lo hanno visto più di una volta e apprezzandolo ancora di più, a dimostrazione che le diverse chiavi di lettura del film gli donano uno spessore che il pubblico ha capito. Nel frattempo sto comunque preparando un dvd che conterrà la versione integrale, una versione soft pensata per un programma televisivo e una serie di extra scelti tra le oltre 70 ore di materiale registrato. Le proiezioni del film sono private e a inviti, ma non sono mai mancate persone che sono riuscite a “scovarmi”. Io so che chi vuole riesce a venire.

È quello che accadrà stasera alla proiezione romana?

Ne sono certo, so già che mi ritroverò a salutare persone che sono arrivate alla proiezione scovando da qualche parte la password con cui entrare. È quello che mi piace di più, se la gente vuole vivere queste esperienze deve sapersele guadagnare…

Appuntamento alle 24.00 nel posto x allora?

Esatto. Lo proietteremo alla mezzanotte in questo capannone gestito da artisti, un posto bucolico in mezzo al verde, perché in fondo “Pornology New York” è quello che Time Out, la testata inglese degli anni settanta, definiva un “Midnite movie”.

mercoledì, marzo 14, 2007

Il mercato librario si apre a Internet, cresce ancora l’acquisto di libri on line

La figura poetica del libraio capace di intuire e di accontentare i gusti dei propri clienti grazie anche solo al modo in cui essi sfogliavano un libro tra gli scaffali è scomparsa ormai da un po’. Il mercato librario, intanto, è stato attraversato negli ultimi anni da un profondo cambiamento che ha interessato direttamente anche gli stessi libri, considerati sempre più alla stregua di veri e propri prodotti merceologici e sempre meno portatori del sapere. Le case editrici, soprattutto le più grandi, affrontano nuove strategie di vendita a colpi di marketing e nei “brain storming” di inizio settimana a dare il parere positivo o negativo alla pubblicazione di un volume è chiamato il direttore commerciale e non più l’editore. Allo stesso modo le librerie di una volta tendono a scomparire soffocate dalla concorrenza delle grandi catene, che intanto tendono a diventare simil supermercati del libro, con bar e ristoranti al loro interno. È in questo contesto che il mercato librario si comincia a occupare con sempre maggiore interesse del fenomeno delle vendite on line, fenomeno che negli ultimi anni, dopo quello dei libri allegati ai quotidiani, ha rappresentato la più grande novità del panorama. Secondo i dati forniti dall’associazione italiana degli editori in occasione degli stati generali dell’editoria del 2006, in soli tre anni, la quota di mercato rappresentata dai libri acquistati direttamente da internet è passata dallo 0,6 % del 2002 al 2,4 del 2005 con un giro d’affari di 31,4 milioni di euro. Si parla ancora di una piccola percentuale rispetto al dato complessivo, ma l’indicazione denota comunque una grossa crescita che, secondo gli esperti, è destinata ad ampliarsi ancora e già nei prossimi mesi. Il mercato del libro insomma guarda con interesse alle vendite on line e il tutto è confermato dal successo di IBS (Internet Book Shop) il sito meglio strutturato, con relazioni solide e ricco di contenuti e servizi, definito a ragione l’“Amazon all’italiana”. Le vendite del portale, che fa capo al gruppo Messaggerie Libri, nel 1998 erano paragonabili a quelle di una libreria medio-grande; oggi invece, lo stesso sito, arricchitosi nel frattempo di dvd, videogames e dischi, muove un fatturato annuo di 19 milioni di euro. A spingere i lettori ad abbandonare gli scaffali delle librerie per approdare in quelle telematiche, oltre a una ormai consolidata tendenza all’acquisto informatico, contribuisce senz’altro la possibilità di poter accingere ad un catalogo che si avvicina alla quasi totalità della produzione libraria; su "IBS" come su “Bol”, su “Maremagnum” come su “Comprovendolibri” è infatti possibile trovare un’infinità di titoli; da quelli che non trovano spazio in libreria perché fonte di scarso guadagno a quelli già resi indietro alle case editrici fino anche a quelli rari e introvabili. E peccato se ci sarà da aspettare qualche giorno per la consegna, sempre meglio che fare due viaggi in libreria, uno per ordinare il testo in caso di assenza e uno per andarlo a ritirare. Ma non è chiaramente questo l’unico motivo, a coinvolgere il pubblico sono anche i tanti servizi forniti dai siti, dalle offerte speciali alla consegna a domicilio fino alla possibilità di leggere le recensioni ai testi lasciati sotto la scheda del libro da chi lo ha già letto, recensioni vere che tengono conto non solo delle belle parole scritte da giornalisti e testate troppo spesso accondiscendenti, ma del reale riscontro che i testi hanno sul pubblico.

I pronostici del Sun fanno saltare il banco

Una probabilità su 14.322, era l’unica che aveva Phil Logan di azzeccare la combinazione vincente che ha fatto la fortuna degli scommettitori del Regno Unito che ogni giorno seguono i suoi consigli dalle pagine interne del tabloid inglese Sun. Logan, nome d’arte Templegate, è un esperto di scommesse sugli eventi sportivi e ogni giorno dispensa suggerimenti sulle puntate da effettuare, una rubrica seguitissima nella nazione simbolo dei concorsi a premio legati allo sport. Anche in Italia quella dei consigli sulle giocate è diventata una pratica comune per i quotidiani sportivi e per quelli nati a ridosso della legalizzazione delle scommesse, ma mai un giornale, né nel nostro paese né tanto meno in Inghilterra era riuscito nell’impresa di cui è stato capace lunedì l’ormai ricercatissimo Templegate, anche se già in passato lo stesso aveva dimostrato più di una volta di saper prevedere con successo i risultati. “Indovinando” i sette cavalli vincenti delle sette corse in programma a Sandown, Templegate ha consentito a chi ha seguito i suoi suggerimenti di sbancare i bookmakers in una giornata che è costata più di 7.5 milioni di euro alle più grandi agenzie di scommesse del Paese come Ladbrokes e William Hill. Le perdite accumulate nella giornata dai “bookies” sono paragonabili solo ad un’altra giornata nera per il mondo delle scommesse inglese, quella in cui il fantino italiano Frankie Dettori vinse tutte e sette le sue gare ad Ascot nel 1996 montando sette cavalli diversi. Eventi più unici che rari, comunque non in grado di scalfire minimamente le fondamenta delle grandi agenzie di scommesse che qualche battuta d’arresto devono pur mettere in preventivo, ma che ha fatto la fortuna di tanti comuni mortali che con puntate di poche sterline si sono portati a casa grandi somme; casi che hanno trovato spazio nelle pagine del Sun in edicola ieri, come quello di Jim Lees che si è portato a casa più di quattordici mila sterline puntandone poco meno di dieci, e c’è anche chi è arrivato a vincerne 45 mila (circa 67mila euro) dopo averne giocate 500. Sorpreso, ma chiaramente soddisfatto Logan che ha dichiarato: "Sono felicissimo per i nostri lettori. Io scelgo i cavalli con molta attenzione, dopo molta ricerca sulla forma degli animali, le condizioni del campo, le corse che hanno disputato e vinto in passato, insomma, ci metto parecchio a decidere chi potrebbe vincere e sono molto fiero d'averci azzeccato così in pieno!" e anche il famoso tabloid ha voluto festeggiare l’evento dedicando la prima pagina di ieri alla prossima sfida che aspetta Templegate; proprio ieri infatti, è cominciato il Festival di Cheltenham e ora, è il caso di dire che c’è da scommetterci, a leggere i consigli di Logan ci penseranno ancora più lettori.

martedì, marzo 13, 2007

Videogiochi: e se l'abuso fosse colpa dei genitori?

La lente di ingrandimento della televisione amplifica allo spasimo i cambiamenti in atto nei comportamenti degli adolescenti, riprendendo e proponendo al pubblico veri e propri episodi di cronaca ispirati dalle nuove tecnologie e i fatti di cronaca degli ultimi tempi ci costringono ogni giorno a riflettere su quello che sta succedendo alle nuove generazioni. Video di violenze su pari età handicappati e più deboli o su professoresse forse un po’ troppo accondiscendenti finiscono sempre più spesso on line e vengono riportati poi nelle pagine di cronaca, stimolando un dibattito che vede impegnate associazioni di tutela dei minori, sociologi, psicologi e, immancabilmente, anche politici. L’ultimo fatto di cronaca è stato quello di un bambino di 10 anni della provincia di Pesaro svenuto dopo aver passato più due ore a giocare con i videogiochi, episodio che ha portato l’esponente della Margherita Dorina Bianchi, vicepresidente della Commissione Affari sociali, a chiedere “Una campagna di informazione che aiuti i genitori ad educare i figli nell'uso dei videogiochi”. “È impensabile – prosegue la deputata dielle - che un bambino di quell'età possa passare così tanto tempo davanti ad un videogioco. Purtroppo assistiamo sempre più frequentemente alla deleteria abitudine di parcheggiare i propri figli davanti ad una scatola che ha il potere di estraniarli dal resto del mondo”. Sarà che la Bianchi ha centrato il problema? Insomma, il dibattito in atto sull’uso e l’abuso di videogiochi violenti (e non) da parte dei minori si è più volte impantanato sulle richieste delle associazioni di bloccare la vendita di quei videogiochi “pericolosi” per le menti dei ragazzini. Richiesta quanto mai esagerata tanto che le case di produzione, davanti ai giudici, sono uscite sempre vincitrici; i videogiochi violenti o quelli che comunque contengono scene più cruente, infatti, sono già vietati ai minori e non si può pretendere certo che le case produttrici limitino la propria produzione di giochi “sparatutto”, sarebbe un po’ come imporre alle case cinematografiche di non fare più film horror. Le parole della Bianchi spostano dunque l’asse della discussione su un altro campo, quello che interessa la famiglia che dovrebbe tutelare i bambini prima di chiunque altro. Insomma le regole, seppur facilmente raggirabili dai giovanissimi in grado ormai di reperire qualsiasi materiale dalla rete, ci sono; quello che manca è un controllo nelle camere dei ragazzi, che non può essere certo svolto dalle autorità. Un compito abbastanza arduo per quei genitori che non sanno nemmeno cosa sia un mouse, ma è proprio in questa direzione che le parole della Bianchi dovrebbero fare breccia, stimolando le famiglie ad una maggiore comprensione del problema. È vero, l’abuso (e non l’uso) dei videogiochi, ma anche quello della televisione o dei telefonini è nocivo, ma per evitare la loro pericolosità non bastano i divieti e le censure, serve una maggiore responsabilità da parte di tutte le componenti famigliari. E se qualche settimana fa ci ha pensato addirittura Bill Gates a dare il buon esempio, dichiarando di aver imposto alla propria figlia di dieci anni di poter passare un massimo di tre quarti d’ora davanti alla console, allora qualcosa in questa direzione si muove davvero.

venerdì, marzo 09, 2007

Le Lega attacca Fiorello, ma inciampa su una zeta di troppo

Gli capitano così, e non lo fa di certo a posta. Nel bene e nel male Fiorello è sempre al centro dell’attenzione. Le sue gag sono riprese un giorno si e l’altro pure da editorialisti vari che fanno a gara per commentare gli interventi dei personaggi ospiti di “Viva Radio 2” condotta insieme a Marco Baldini, o le battute dello show man, che proprio grazie alla radio riesce a lanciare personaggi e tormentoni difficilmente proponibili in video. L’ultimo “caso Fiorello” però, ha del paradossale e può essere spiegato forse, solo partendo dall’irrefrenabile voglia di rilasciare dichiarazioni davanti ai taccuini dei giornalisti da parte di onorevoli in cerca di gloria. Potrebbe essere questa una delle chiave di lettura della gaffe del senatore Ettore Pirovano, chiamato a difendere l’onore e la credibilità della Lega e soprattutto del proprio leader Umberto Bossi. Il senatore leghista è partito a testa bassa e mentre la trasmissione era ancora in onda, ha rilasciato alle agenzie dichiarazioni che dimostravano un certo disprezzo per il comportamento di Fiorello, reo di aver scherzato sulla malattia di Bossi leggendo una finta lettera della Merkel. Secondo la cancelliera, per abbassare i gas serra sarebbe stato necessario mettere un pannolone al leader leghista. Battute al limite della logica della satira che avrebbero dovuto comportare la censura della trasmissione. Ora, sulle sanzioni disciplinari da prendere contro la squadra di “Viva Radio 2” se ne sarebbe potuto parlare a lungo se non fosse che il “senatur” non era mai stato chiamato in causa da Fiorello; nella trasmissione incriminata, lo show man aveva tormentato per tutta la puntata uno degli autori del programma, tale Francesco Bozzi da Palermo che con il Bossi padano ha ben poco in comune e che qualche giorno fa si era reso protagonista di “effluvi corporali” durante la trasmissione, cosa che ha mandato in visibilio Fiorello e Baldini, subito pronti ad imbastirne un tormentone ad hoc. Un abbaglio in piena regola che ha comportato il naturale risentimento della coppia d’oro di Radio Due, i quali non hanno potuto far altro che prendere la palla al balzo. Dopo la richiesta di scuse pubbliche da fare in diretta durante la trasmissione è partito il nuovo tormentone e così a Pirovano è stato consigliato un accurato esame audiometrico, evidentemente – ha glissato Fiorello – il senatore non becca le frequenze sulla zeta. Per non essere da meno Baldini ha invece anticipato il titolo odierno della Padania: “Francesco Bozzi è un petomane!”.

giovedì, marzo 08, 2007

La "fiction reale" che appassiona il pubblico e insegna la storia

Cosa è che muova la mente umana a quella sorta di cinica curiosità che spinge ad “indagare” fra le righe dei delitti e dei fatti di cronaca nera è forse ancora un mistero, il fatto certo è che l’interesse e la passione del pubblico per i testi di genere cresce e coinvolge un pubblico molto vasto. Le saghe delle più cruente bande criminali delle nostre città, che spesso si legano alla storia e ai misteri irrisolti d’Italia, offrono ai lettori uno spaccato storico della nostra nazione regalando allo stesso tempo protagonisti, vicende e suspence che si prestano alla perfezione come elementi portanti della fiction “reale”. In America questo tipo di narrazione ha consentito al talentuoso James Ellroy di imporsi al grande pubblico grazie all’intrigante mix tra fiction e realtà che trova la sua consacrazione nella triologia americana, iniziata con “American Tabloid”, un crudissimo spaccato dell'America degli anni Sessanta che attraverso un viaggio allucinante di tre personaggi in bilico tra crimine e giustizia, si conclude con l’omicidio Kennedy, analizzato in virtù di una miriade di collegamenti, piste, relazioni, doppi e tripli giochi tra Cia, Fbi, Mafia e Ku Klux Kan. Questo tipo di letteratura è arrivato in Italia con il fisiologico ritardo rispetto all’editoria anglosassone ma negli ultimi anni l’offerta di libri ripresi direttamente dalla cronaca nera è cresciuta fino alla consacrazione del “Romanzo Criminale” di De Cataldo, che nel 2002 ha segnato il definitivo sdoganamento del genere. Dopo il successo del romanzo e quello della trasposizione cinematografica di Michele Placido, infatti, la storia e le gesta dei protagonisti della cruenta stagione della mala romana sono state riprese da più parti e la banda della Magliana è tornata a rivivere sui libri. In realtà Einaudi non è stata l’unica editrice a cogliere l’onda e nello stesso anno ci aveva già provato la Kaos edizioni con “La banda della Magliana” di Gianni Flamini, giornalista che non si è limitato al solo fattore criminale proprio per evitare di sottovalutare i collegamenti con i settori deviati dello stato, del Vaticano e delle banche. Di più recente pubblicazione il testo “Ragazzi di malavita. Fatti e misfatti della banda della Magliana”, di Giovanni Bianconi, che ancora una volta cerca il filo conduttore che lega i protagonisti della vicenda ai “grandi vecchi” nascosti dietro le scrivanie. La banda romana, per le sue peculiarità, è forse proprio la più adatta ad un tipo di narrazione che appassiona sia gli amanti dei “misteri all’italiana” che il genere poliziesco, ma la cronaca nera riesce sempre e comunque a regalare nuove idee a romanzieri, giornalisti e storici. Anche Vincenzo Cerami ha voluto confrontarsi con l’argomento, ma scegliendo un’altra visuale, quella dei delitti commessi dall’uomo della porta accanto, quello che non ti aspetti e nel suo “Fattacci. Il racconto di quattro delitti italiani” ha redatto un “resoconto psicologico” di quattro assassini che si basa sull’attrazione inconscia del male. Se Cerami ha cercato l’introspezione dell’animo dei carnefici, altro ha fatto Massimo Polidoro che con “Cronaca nera. Indagine sui delitti che hanno sconvolto l'Italia” ha analizzato e raccontato i delitti italiani che hanno fatto breccia nel cuore e nella mente degli italiani, dagli anni Venti fino al caso Cogne. E se anche il Corriere della Sera ha deciso di pubblicare in un libro le sue pagine di cronaca nera ecco la definitiva dimostrazione di quanto l’argomento sia di facile conquista per un pubblico di lettori sì curioso, ma disposto, anche attraverso i delitti, a cogliere i cambiamenti storici avvenuti nella nostra società.

martedì, marzo 06, 2007

Tv, inizia l'era digitale. In Sardegna lo "Switch-off"

La televisione del futuro sta arrivando e, anche se a piccoli passi, l’Italia ha cominciato il lento avvicinamento alla digitalizzazione della tv. La data da segnarsi sul taccuino è stata quella del primo marzo, il giorno che ha segnato l’arrivo del digitale terrestre nell’area di Cagliari coinvolgendo 122 paesi del suo hinterland; paesi come Maracalagonis, Ussana o Decimomannu che sono stati scelti per il passaggio, il tanto declamato “switch off”, dalla televisione analogica a quella digitale terrestre Dtt. La Sardegna, dunque, è la prima regione italiana a conoscere i pregi e i difetti del sistema televisivo che fra qualche anno interesserà anche il continente; alle tre del mattino di giovedì Rai Due, Rete 4 e QOOB di Telecom Italia Media sono “scomparse” definitivamente dagli schermi dei telespettatori sardi e ora sono visibili solo attraverso i decoder acquistati in gran numero anche grazie ai contributi statali che, cancellati a fine 2006, sono stati reintrodotti in Sardegna per l’occasione, stimolando una vera e propria corsa all’acquisto dell’ultimo istante. Più di 7000 decoder sono stati infatti comperati dagli ultimi ritardatari nella settimana dal 19 al 27 marzo, e non poteva essere altrimenti, visto che solo con essi sarà possibile usufruire della nuova proposta di canali in chiaro, passati da 14 a 37 (più due canali a pagamento e 9 canali radio) tra cui Boing, Rai Sport Satellite, Rai Utile e BBC World. Non poche le difficoltà tecniche e organizzative che si sono presentate nel momento del passaggio, e anche se il Ministero delle Comunicazioni ha creato una task-force di tecnici e installatori (a pagamento) ad hoc, la prima giornata è passata tra innumerevoli lamentele e una valanga di chiamate al numero verde istituito dallo stesso Ministero. In verità la maggior parte delle rimostranze sono state quelle di persone che mal si sono adattate al nuovo sistema, vuoi perché impreparate, vuoi perché in difficoltà nell’usare due telecomandi invece di uno, mentre per quanto riguarda il segnale non ci sono stati grandi problemi anche se in alcuni casi si è verificata una sovrapposizione di immagini tra lo stesso canale in analogico e in digitale; sovrapposizione che ha comportato una sorta di “effetto Picasso” con immagini deformate e improbabili protagonisti di film o trasmissioni. Il passaggio non è stato quindi completamente indolore, e come ogni grande rivoluzione che si rispetti, anche questa, seppur molto meno traumatica, ha lasciato qualche strascico polemico, ma ora che la situazione si sta pian piano normalizzando i cittadini sembrano apprezzare il nuovo sistema che consente di usufruire di una più ampia gamma di canali. Insomma se gli anziani, categoria maggiormente colpita dal cambiamento di questi giorni, hanno da lamentarsi per i tasti troppo piccoli del nuovo telecomando in dotazione, è anche vero che potranno pur consolarsi, per la prima volta, con le trasmissioni di Tele Radio Padre Pio.