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mercoledì, ottobre 14, 2009

Trentamila

Io non avevo fatto niente di male, lo giuro. Ero lì, un po’ ansioso sì, ma in fondo mi stavo solo preoccupando di trovare una nuova macchina per il caffè, di quelle che ne esce fuori solo una tazzina. Poi sono arrivati loro. E sì che forse c’ho messo un po’ a decidermi, ma non mi sarei mai aspettato di ricevere un trattamento così meschino, doloroso terrificante. Erano in quattro, sono arrivati fuori casa e hanno parcheggiato la loro Ford Falcon, di quelle in dotazione all’esercito, con calma, senza preoccuparsi né dei passanti che li avrebbero potuti riconoscere, né dei miei genitori che stavano appena uscendo di casa. Alla porta non hanno bussato nemmeno, io ho sentito solo lo scricchiolare debole delle assi che si rompevano. Poi, dal momento in cui gli ho confermato il mio nome, ricordo solo il cappuccio in testa e quel colpo secco dietro alla nuca, forse col calcio della pistola, forse con il retro del manganello. Di certo c’è solo che da quel momento è cominciato l’inferno…
Potrebbe essere questo l’inizio di un racconto comune a uno qualunque dei trentamila desaparecidos argentini, uomini e donne vittime del sistema di repressione attuato dalla dittatura dal 1976 al 1983. Un sistema brutale, indegno e terrificante pronto a reprimere nel terrore qualsiasi segno di appartenenza a gruppi o movimenti contrari al colpo si stato dei generali. Di più, un sistema studiato a tavolino per eliminare le tracce e le prove degli ostaggi sia sulle carte della polizia legale sia materialmente, arrivando a far scomparire i corpi attraverso i tristemente noti “voli della morte”, con cui i militari si sbarazzavano delle prove buttando i corpi dei sopravvissuti alle vessazioni e alle torture direttamente nell’oceano.
Per arrivare alla verità sulla tragedia dei desaparecidos molto è stato fatto da parte delle associazioni che riunivano i figli, le madri e le nonne degli “N.N.”, come venivano classificati una volta uccisi, ma le varie amnistie concesse dai governi “democratici” arrivati dopo la dittatura hanno contribuito a rendere impunibili diversi personaggi colpevoli della strage mentre ancora oggi, i figli, le madri e le nonne di Plaza de Mayo continuano imperterriti la loro battaglia per rintracciare corpi e storie di persone scomparse nel nulla.
A far rivivere le storie e le vite dei desaparecidos contribuisce in qualche modo anche una vasta produzione artistica sull’argomento. Io mi ci sono imbattuto quasi per caso e, vuoi per le coincidenze di trovare, nello stesso periodo, libri usati a ottimo prezzo, fumetti appena usciti per la tua casa editrice, vuoi per una connessione a internet che ti consente di scaricare quel film che volevi vedere da un po’ o per un altro film che avevo visto tempo fa, le ultime settimane me le sono passate in una completa immersione nell’Argentina di quegli anni.
Grazie a due film del regista Marco Bechis innanzitutto: Hijos (2001) e Garage Olimpo (1999), in cui il regista italo-cileno, che ha vissuto sulla propria pelle la ritorsione della dittatura con l’espulsione dall’Argentina nel 1977, racconta il dramma da due diverse ottiche; in Hijos è quella di una ragazza che arriva in Italia da Buenos Aires per ricongiungersi al fratello sottratto alla famiglia in uno dei campi di concentramento del regime e venduto a una coppia “per bene” e in Garage Olimpo, per certi versi più drammatico e sconvolgente, quella dell’interno di una delle basi dell’esercito, il garage Olimpo per l’appunto, in cui i desaparecidos venivano portati per essere torturati in maniera atroce prima di essere “trasferiti” sugli aerei della morte. Storie che grazie al video rendono bene l’idea dell’angoscia e della disperazione di quegli anni; un’angoscia e una disperazione che Massimo Carlotto invece, è stato in grado di trasmettere anche sulle pagine stampate del suo libro Le irregolari. Buenos Aires Horror Tour, edito dalla E/o. Un viaggio tra i racconti delle vite e dei sequestri di decine di desaparecidos elencate all’autore dall’autista di un bus che lo accompagna di notte tra le strade e i luoghi di una Buenos Aires “infinita”. Carlotto ascolta, sente sulla propria pelle il dolore delle vittime e lo racconta in maniera esemplare, rimanendo poi così coinvolto da impegnarsi al fianco delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, le nonne battagliere decise a far conoscere la verità sugli scomparsi guidate da un’altra Carlotto; quella Estella che da anni gira il mondo incontrando le personalità e i capi di governo più rappresentativi al fine di raggiungere equi processi in tutti i Paesi, che siano stati essi vittime o complici del sistema argentino. Ultima arte ad avvicinarsi al tema in questo periodo il fumetto, con L’eredità del colonnello di Carlos Trillo e Lucas Varela, appena tradotto e uscito in Italia per Coniglio Editore. Storia per forza di cose scura anche questa, con personaggi “sporchi” e figure tetre che si rincorrono nei ricordi del figlio di un colonnello torturatore del regime scritta da uno dei personaggi che hanno fatto la storia del fumetto sudamericano. Suoni e visioni da un mondo orribile che nelle pagine disegnate trovano una strada nuova per raccontare l’orrore.

Tanta carne sul fuoco dunque, da studiare e da approfondire, ma che forse non sarai mai abbastanza per una pagina così scura del ventesimo secolo, una pagina che a inventarla per un film, un libro o un fumetto avrebbero probabilmente fatto meno fatica…

In ascolto: Desaparecidos - Manu Chao

venerdì, giugno 12, 2009

Consigli per gli acquisti...

Camere di ospedali, letti lerci, tuniche gialle e gocce che sembrano morfina. A far da colonna sonora a questo brutto film muto un guercio russante e ormai senza più speranze. Da lontano arrivano comunque echi di leggerezza; con l’Arzibanda che è quasi alle porte e che allora tutti staremo più bene e con risate genuine che alleggeriscono le pressioni, e fanculo se la mia, di pressione, al mattino fa 85 di massima. La diagnosi aveva parlato chiaro qualche giorno fa: ascesso perianale (me l’aveva detto Stefano che dovevo smetterla coi negroni!) da estirpare con interventino chirurgico a gambe all’aria. Una cosa da poco suggerivano gli amici che ci erano passati, ma mica mi avevano avvertito del dopo cazzo! Un buco nero è sempre un buco nero, che se poi te lo aprono vicino a un altro ben più caro allora sì che la situazione si fa antipaticamente interessante. Insomma, come si dice, da queste parti in questi giorni c’è da stringere un po’ le chiappe cercando di superare anche le mancanze e le assenze. Io, visto che il tempo proprio non mi è mancato, ci ho provato con un paio di cosette interessanti che mi concedo di suggerirvi anche nella mia personalissima e modestissima bacheca dei “consigli per gli acquisti”.
Per la sezione libri torno a “pubblicizzare” di nuovo un titolo della E/O, che ormai mi ha convinto ed è diventata la mia casa editrice preferita. Il libro (della collana “assolo”, la stessa di Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio) è Centro permanenza temporanea vista stadio di Daniele Scaglione, ex presidente di Amnesty International Italia e attualmente direttore della comunicazione di Action Aid. Una storia narrata semplicemente, senza troppi fronzoli, che racconta da vicino la storia di una madre e di una figlia rinchiuse in un cpt di Torino, una delle tante strutture lager volute dai nostri governanti per combattere l’arrivo degli immigrati nel nostro paese. Una struttura lager che non impedirà comunque alla giovane Sharmin di appassionarsi alla nostra cultura calcistica da vicino, in una lotta per la libertà che passa anche attraverso una fuga per andare a vedere allo stadio il proprio idolo Francesco Totti. Toccando un tema estremamente attuale in questi giorni di ulteriori restrizioni verso gli immigrati, Centro permanenza temporanea vista stadio è una storia di donne e di amori: per il calcio, per i desideri irrealizzabili, per la famiglia e per la dignità.

Rimanendo più o meno vicini all’ambito calcistico la seconda segnalazione riguarda il docu-film-intervista su Maradona realizzato da quel geniaccio di Emir Kusturica; un film che non celebra, come sarebbe stato troppo facile, quello che è stato il calciatore più forte del mondo, ma che cerca di scavare e di analizzare una personalità e un personaggio che nasconde dentro tanti quesiti quanti sono i gol che ha segnato nella sua carriera. Maradona non è stato infatti solo un calciatore ma un vero e proprio idolo acclamato ancora oggi dal popolo napoletano come da quello argentino. Un uomo che ha fatto impazzire i difensori di mezzo mondo ma che si è ritrovato anche a dover combattere una sfida ben più difficile con la dipendenza dalla cocaina; un abilissimo affabulatore del pallone di cuoio ma anche uno che non le ha mai mandate a dire, contro i poteri forti del sistema calcio prima e contro l’imperialismo di Bush poi. Kusturica, dall’altro lato della camera, ma spesso coprotagonista lui stesso nel film, è riuscito a scendere a compromessi e ad addomesticare il Maradona uomo, portandolo e facendosi portare all’interno di un viaggio affascinante, veritiero e pieno di sorprese. Un viaggio al quale manca ancora la parola fine, perché in fondo cosa e chi è oggi Maradona, per sua stessa ammissione, non è del tutto ancora chiaro… Andate, leggetene e guardatene tutti allora. Io nel frattempo vado a fare esercizi di respirazione per allentare le tensioni al bacino!



In ascolto: La vida es una tombola – Manu Chao

giovedì, marzo 15, 2007

Capozzi: “Dove c’è libertà sessuale, c’è anche libertà mentale. E viceversa”

Roma torna ad ospitare uno dei personaggi più eclettici del mondo alternativo. Michele Capozzi, il pornologo e esploratore urbano che da 30 anni vive su una barca attraccata a New York, ospiterà amici e curiosi alla nuova proiezione del suo film “Pornology New York”, una vera e propria serata evento che torna a ripetersi dopo quelle tenute già in altre città come New York, Genova e Milano. È veramente un piacere parlare, anche se solo al telefono, con una persona che ha fatto della strada un mestiere da quando capì che i caruggi genovesi, dall’altra parte della strada rispetto alla facoltà dove si è laureato in legge e scienze sociali all'Università di Genova, e tutti i personaggi “borderline” che li affollavano, riuscivano a essere per lui tanto più formativi delle lezioni universitarie. Il Capozz, come lo chiamano gli amici più intimi, è reduce dalla sua ultima fatica, il libro “De Masturbazione”, edito dalla Malatempora, in cui è raccolto quello che potrebbe essere definito il Capoz-pensiero: “Dove c’è libertà sessuale, c’è anche libertà mentale e viceversa, l’una è la causa effetto dell’altra”.

Allora Michele, ci spiega come nasce un pornologo?

Pornologo è un termine che ho coniato per descrivere il processo che mi ha portato a diventare un cultore e uno studioso della sessualità e della mercificazione dei corpi in generale. Dalle prime esperienze di strada a Genova fino agli anni newyorchesi molto è stato segnato da questi temi, così nasce il termine pornologo che viene dal greco, dove pornè sta per prostituzione e logos sta per parola. Accanto al pornologo però, mi piace definirmi anche un esploratore urbano.

È da questi due “mestieri” che nasce “Pornology New York”?

Certamente. “Pornology New York” è il frutto delle mie esperienze, dei posti che ho frequentato insieme agli amici storici di una New York diversa da quella di oggi. È un atto di amore e di nostalgia su una città che alla fine degli anni ’70, e per un po’ anche negli anni ’90, era il centro del mondo della libertà sessuale. Oggi molto è cambiato e i 3 locali storici di cui racconto nel film sono stati tutti chiusi. I protagonisti sono le tre anime dei locali più in voga della New York alternativa, Neville Chambers nella sua “Fuck Factory”, Lenny Waller e l’“Hell Fire”, Porsche Lynn e il suo “Den Of Iniquità”. Io partecipo come un Caronte che guida il pubblico attraverso queste storie.

Il film è uscito nel 2005 ma è ancora senza una distribuzione.

Si è vero, anche se ha ottenuto il premo del pubblico, l’“Audience Choice Award”, al CineKink festival di New York. Ma quello della distribuzione non è il mio primo pensiero. In realtà non ho cercato ancora una distribuzione regolare perché mi rendo conto che c’è bisogno di una distribuzione diversa da quella del mainstream. Il mio è un docu-cult, un cult che non può essere classificato molto facilmente, ma non voglio nemmeno correre il rischio che venga ritenuto un porno, anche se contiene scene di sesso molto forti. Non voglio che venga racchiuso in questa nicchia e mi piacerebbe che avesse la stessa rilevanza che ha avuto “Shortbus”. Perciò aspetto, e sono molto fiducioso su questo, che arrivi presto un distributore coraggioso disposto a farlo.

Intanto, per vederlo c’è bisogno di venire ad una delle sue serate speciali?

Il film è stato proiettato con un buon riscontro di pubblico in diverse città, a partire dalla prima nella mia Genova. Quello che mi ha fatto più piacere è stato incontrare persone che lo hanno visto più di una volta e apprezzandolo ancora di più, a dimostrazione che le diverse chiavi di lettura del film gli donano uno spessore che il pubblico ha capito. Nel frattempo sto comunque preparando un dvd che conterrà la versione integrale, una versione soft pensata per un programma televisivo e una serie di extra scelti tra le oltre 70 ore di materiale registrato. Le proiezioni del film sono private e a inviti, ma non sono mai mancate persone che sono riuscite a “scovarmi”. Io so che chi vuole riesce a venire.

È quello che accadrà stasera alla proiezione romana?

Ne sono certo, so già che mi ritroverò a salutare persone che sono arrivate alla proiezione scovando da qualche parte la password con cui entrare. È quello che mi piace di più, se la gente vuole vivere queste esperienze deve sapersele guadagnare…

Appuntamento alle 24.00 nel posto x allora?

Esatto. Lo proietteremo alla mezzanotte in questo capannone gestito da artisti, un posto bucolico in mezzo al verde, perché in fondo “Pornology New York” è quello che Time Out, la testata inglese degli anni settanta, definiva un “Midnite movie”.

martedì, giugno 06, 2006

QUANDO LA RAPINA DIVENTA D'AUTORE

QUANDO LA RAPINA DIVENTA D’AUTORE Un cast eccezionale, una sceneggiatura curata nei partcolari e piena di colpi di scena, ma soprattutto Spike Lee, che stampa la sua chiara firma d’autore in INSIDE MAN uno dei migliori thriller dell’ultima stagione. È possibile uscire dalla porta principale di una delle banche più potenti di New York dopo aver tenuto cinquanta persone in ostaggio e dopo aver derubato l’istituto grazie alla rapina perfetta? A realizzare il sogno di ogni rapinatore ci prova Dalton Russel (Clive Owen) che con la sua banda si introduce nell’affollata hall del Manhattam Trust, una succursale di un’istituzione finanziaria internazionale nella centralissima Wall Street. Con un colpo da maestro, il regista Spike Lee (Malcolm X, Fa la cosa giusta, La 25a ora) decide di farci introdurre il film da un primo piano dello stesso Owen che spiega al pubblico il che, il dove, il quando e il perché di quello che sta per accadere. L’unica risposta che non viene data è proprio sul come sarà possibile mettere a segno il colpo perfetto. Lee “usa” il capo della banda per spiegare che lo spettatore deve seguirlo senza perdere per un attimo le sue gesta e soprattutto le sue parole. Solo così potrà essere in grado di stare dietro alle sorprese e ai colpi di scena che, ogni volta, smontano e rimontano l’intricata vicenda. Ci si rende conto da subito di avere a che fare con un classico del giallo (la bank robbery), ma altrettanto presto si capisce che il regista afro-americano non riesce proprio a farsi imabavagliare dalle regole del genere così facilmente. Quella che sembra una rapina per soldi, diventa così un colpo per ritrovare documenti compromettenti che collegano l’ombroso presidente dell’istituto finanziario, Arthur Case, al regime hitleriano. Lo spettatore viene ripetutamente spiazzato dai continui colpi di scena e dagli aspetti svianti della sceneggiatura e ancor più alla cieca sembra muoversi il detective Keith Frazier (Denzel Washington), negoziatore della polizia di New York. Alle prese con un’accusa di corruzione, Frazier viene chiamato a cercare di risolvere il caso solo per l’assenza del suo superiore e una volta sul posto si scontra prima con l’ostilità dei suoi colleghi, tra cui il Capitano John Darius dell’Unità Mobile d’Emergenza (Willem Dafoe), e successivamente deve fare i conti con l’entrata in scena di Madeline White (Jodie Foster), una potente avvocatessa chiamata a difendere gli interessi di Case. L’eccezionale cast artistico del film, sia davanti che dietro la telecamera (tra gli altri il produttore, vincitore dell’Oscar, Brian Grazer) ha contribuito a fare di Inside Man un ottimo film. Il merito principale resta comunque quello di Lee: l’alternanza del montaggio nervoso e serrato, le riprese con la camera a mano, i dialoghi forti ed enigmatci sono segni della sua maestrià dietro la macchina da presa. Per la prima volta alle prese con un film non indipendente, Lee riesce ad adattarsi perfettamente al genere, senza però abbandonare il suo modo tagliente di fare critica sociale. Il bambino di Brooklyn fan di “50 cent” e il sikh scambiato dalla polizia per un arabo sono i segni di riconoscimento di chi da sempre mette le tematiche sociali ed interraziali al centro delle sue pellicole.

giovedì, maggio 11, 2006

CHIEDI ALLA POLVERE

Sono stato a vedere la trasposizione cinematografica del romanzo di John Fante. E’ la prima volta che mi capita di aspettare l’uscita di un film al cinema con così tanta curiosità. Curiosità di vedere sullo schermo le scene di un romanzo che mi aveva appassionato come nessun altro libro. Quella che ho fatto su “Chiedi alla Polvere” è stata una lettura ossessiva, non mi riuscivo a staccare dalle pagine e dalla storia di quel figlio di italiani alla prese con un’America ipocrita e razzista (dopo aver divorato anche “Aspetta primavera, Bandini”). Il film, purtroppo, è un’altra cosa. Mi dispiace, ma dopo averlo visto posso tranquillamente pensare che, per me, potevano anche risparmiarselo. Se non si riesce a suscitare nel pubblico lo stesso tono di ironica malinconia che trasmette Fante nei suoi romanzi, allora il film è inutile. E non si può dare in pasto al pubblico una sorta di storia d’amore congeniata all’americana maniera. Il finale poi, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, nel libro Camilla si inoltra nel deserto e Bandini rinuncia a cercarla dopo aver camminato a lungo sulla sabbia… Perché il regista deve proporre la scena finale di una morte tra le braccia del proprio amato così come se ne sono viste già all’infinito? E poi ancora, se Camilla è rappresentata sullo schermo da una bellissima Salma Hayek,, allora quella non è la Camilla che io ho conosciuto tramite la sublime rappresentazione di Fante, ovvero quella di una ragazza messicana con problemi di integrazione sociale e tutt’altro che una gran bella donna… Il film, a questo punto, mi ha dato un solo piacere: quello di farmi ricordare alcuni dei particolari del romanzo, che per forra di cose, erano andate via dalla mia memoria…

lunedì, marzo 13, 2006

IN LINEA CON L'ASSASSINO

Quattro milioni di newyorkesi continuano ad usare le cabine telefoniche pubbliche per comunicare. Stuart (un ottimo Collin Farrel), pubblicitario senza scrupoli, è uno di loro: ogni giorno si ferma nella stessa cabina per telefonare alla sua amante, ma l’azione che compie quotidianamente si trasforma presto in un incubo. Il telefono della cabina squilla… lui alza la cornetta… all’altro capo del filo risponde un serial killer che sembra volersi sostituire a Dio per purificare lo spirito di chi, come il protagonista, agevola i propri interessi calpestando i sentimenti di chi ha al fianco. Cosa fare se si rimane ingabbiati in una cabina telefonica con un fucile laser puntato sulla testa? Inizia così il frenetico thriller di Joel Schumacher (Un giorno di ordinaria follia, Il fantasma dell’opera): a dirla tutta un thriller un po’ anomalo che rischierebbe di cadere nella noia da subito se non fosse per il talento del regista che riesce a colmare sapientemente le lacune di una sceneggiatura piuttosto risicata. Lo scenario è sempre lo stesso: la cabina al centro della piazza, ma Schumacer riesce a salvare lo spettatore da sensazioni claustrofobiche cambiando velocemente e ripetutamente la visuale delle riprese, da dentro la cabina fino all’interno del mirino con cui il cecchino punta la vittima e i passanti. L’intenzione di girare un film attorno ad una cabina telefonica si trasforma presto in un esperimento ben riuscito dove i colpi di scena arrivano nei momenti giusti, quelli in cui lo spettatore comincia a realizzare che la vicenda è quantomeno surreale, e vanno di pari passo con l’apparire sulla scena degli altri protagonisti; un omicidio, la diretta dei network, l’arrivo della polizia, quello della moglie (Rhada Mitchell) e poi dell’amante (Katie Holmes) di Stuart servono come oro per dare nuova linfa alla trama. Lo scontro dialettico tra vittima e carnefice si arricchisce in questo modo di nuovi elementi e per il protagonista cominciano ad aprirsi spiragli di salvezza: basterà svelare i suoi segreti in diretta nazionale per salvare la propria vita? In linea con l’assassino (traduzione non azzeccatissima di Phone Booth) entra di diritto nel filone di una filmografia che, sempre di più, sfrutta il telefono come nuovo oggetto della paura (basti pensare alla sequenza iniziale del primo Scream o a The Ring); girato in soli 11 giorni e sequenzialmente (ovvero ripreso nell’ordine in cui lo vediamo), il film doveva uscire nell’ottobre del 2002, ma è arrivato nelle sale solo ad Aprile dopo che si erano spente le luci sul caso del cecchino che ha terrorizzato gli Stati Uniti uccidendo undici persone tra l’Alabama e Washington. Volendo trovare un messaggio sociale nella pellicola non si può non tener conto del fatto che Scumacher sembra voler muovere una forte critica verso una società sempre più influenzata dai media, dove ciò che conta è solo l’immagine. È per questo, probabilmente, che durante tutto il film si nota un grande slogan pubblicitario sulla vetrina di un palazzo dietro la cabina: Who do you think you are?
Regia Joel Schumacher Cast Colin Farrell, Forrest Whitaker, Katie Holmes, Rhada Mitchell Genere Thriller Paese Usa Durata 81’ Uscita giugno 2003