martedì, marzo 13, 2007

Videogiochi: e se l'abuso fosse colpa dei genitori?

La lente di ingrandimento della televisione amplifica allo spasimo i cambiamenti in atto nei comportamenti degli adolescenti, riprendendo e proponendo al pubblico veri e propri episodi di cronaca ispirati dalle nuove tecnologie e i fatti di cronaca degli ultimi tempi ci costringono ogni giorno a riflettere su quello che sta succedendo alle nuove generazioni. Video di violenze su pari età handicappati e più deboli o su professoresse forse un po’ troppo accondiscendenti finiscono sempre più spesso on line e vengono riportati poi nelle pagine di cronaca, stimolando un dibattito che vede impegnate associazioni di tutela dei minori, sociologi, psicologi e, immancabilmente, anche politici. L’ultimo fatto di cronaca è stato quello di un bambino di 10 anni della provincia di Pesaro svenuto dopo aver passato più due ore a giocare con i videogiochi, episodio che ha portato l’esponente della Margherita Dorina Bianchi, vicepresidente della Commissione Affari sociali, a chiedere “Una campagna di informazione che aiuti i genitori ad educare i figli nell'uso dei videogiochi”. “È impensabile – prosegue la deputata dielle - che un bambino di quell'età possa passare così tanto tempo davanti ad un videogioco. Purtroppo assistiamo sempre più frequentemente alla deleteria abitudine di parcheggiare i propri figli davanti ad una scatola che ha il potere di estraniarli dal resto del mondo”. Sarà che la Bianchi ha centrato il problema? Insomma, il dibattito in atto sull’uso e l’abuso di videogiochi violenti (e non) da parte dei minori si è più volte impantanato sulle richieste delle associazioni di bloccare la vendita di quei videogiochi “pericolosi” per le menti dei ragazzini. Richiesta quanto mai esagerata tanto che le case di produzione, davanti ai giudici, sono uscite sempre vincitrici; i videogiochi violenti o quelli che comunque contengono scene più cruente, infatti, sono già vietati ai minori e non si può pretendere certo che le case produttrici limitino la propria produzione di giochi “sparatutto”, sarebbe un po’ come imporre alle case cinematografiche di non fare più film horror. Le parole della Bianchi spostano dunque l’asse della discussione su un altro campo, quello che interessa la famiglia che dovrebbe tutelare i bambini prima di chiunque altro. Insomma le regole, seppur facilmente raggirabili dai giovanissimi in grado ormai di reperire qualsiasi materiale dalla rete, ci sono; quello che manca è un controllo nelle camere dei ragazzi, che non può essere certo svolto dalle autorità. Un compito abbastanza arduo per quei genitori che non sanno nemmeno cosa sia un mouse, ma è proprio in questa direzione che le parole della Bianchi dovrebbero fare breccia, stimolando le famiglie ad una maggiore comprensione del problema. È vero, l’abuso (e non l’uso) dei videogiochi, ma anche quello della televisione o dei telefonini è nocivo, ma per evitare la loro pericolosità non bastano i divieti e le censure, serve una maggiore responsabilità da parte di tutte le componenti famigliari. E se qualche settimana fa ci ha pensato addirittura Bill Gates a dare il buon esempio, dichiarando di aver imposto alla propria figlia di dieci anni di poter passare un massimo di tre quarti d’ora davanti alla console, allora qualcosa in questa direzione si muove davvero.

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